Leonardo Sciascia e la Jugoslavia. A cura di R. Ricorda, Firenze: Olschki 2015
ISBN: 978-88-222-6347-6, pp. 230, Euro 25,00

· Patrizia Farinelli ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0002-44A8-4

Lo storico Hayden White fa osservare che i dati storici non diventano comprensibili finché non li si organizza lungo un filo narrativo e non li si visualizza attraverso dei tropi. La metafora prescelta a centrale chiave di lettura dei dati di microstoria raccolti nel libro uscito recentemente presso Olschki su Sciascia e la Jugoslavia è certamente quella di «ponte». Il lavoro, nato per iniziativa dell’associazione «Amici di Leonardo Sciascia», è molto più di un ricordo degli ampi interessi letterari e artistici dello scrittore siciliano e della sua visione della storia e della scrittura: è in primo luogo rievocazione di un modo di fare cultura coraggioso e aperto all’altro, che era tanto dello scrittore di Racalmuto, quanto delle personalità di artisti intellettuali con cui egli venne in contatto nei Paesi della Federazione e in Friuli, regione trampolino per quei suoi viaggi oltrefrontiera.

Dall’insieme dei materiali raccolti esce l’immagine di un Leonardo Sciascia intellettualmente curioso verso un territorio vivace dal punto di vista letterario e artistico, ma della cui cultura si sapeva ben poco nell’Italia in quegli anni (e oserei dire anche oggi nonostante i presupposti politici e comunicativi siano totalmente differenti e rendano l’accesso oltremodo più facile). È l’intellettuale attratto dall’alternativa di un sistema politico federativo; lo scrittore sensibile a cogliere e diffondere alcune novità letterarie che provenivano da quei Paesi e delle quali, come nel caso dell’opera di Ivo Andrić, altri non scorgevano ancora la portata. È lo Sciascia che accetta di buon grado uno scambio di collaborazioni di carattere culturale con intellettuali jugoslavi, che prende a stimare artisti d’oltreconfine (come Oto Glihan e Goran Horvat ‹Jaki›) e ne promuove la diffusione e che in tutto ciò mette se stesso e le sue esperienze, trovando qualcosa di familiare in quanto viene conoscendo. Ricciarda Ricorda, la curatrice del volume, si richiama nel suo articolo a tale attitudine, osservando che rintracciare «l’ordine delle somiglianze» fu per Sciascia una sorta di modello conoscitivo (p. 16). I resoconti dei suoi viaggi in quei Paesi e le recensioni dedicate ad artisti jugoslavi lo mostrano felicemente sorpreso di ritrovare nei modi di fare arte e letteratura degli intellettuali jugoslavi, con cui venne in contatto, alcune posizioni affini, una tensione all’autenticità e, prima di tutto, il convincimento che solo l’aderenza ai propri luoghi (il conoscerli intimamente, il non sfuggirli) apra alla conoscenza del mondo.

Il poeta e traduttore sloveno Ciril Zlobec, primo e principale interlocutore di Sciascia in Jugoslavia, si profila altrettanto aperto alla conoscenza della cultura oltreconfine e libero da pregiudizi. È lui che gli avrebbe fatto conoscere altri artisti e poeti della Federazione. La passione di Zlobec per la lingua e la letteratura italiane ha qualcosa di straordinario se si pensa che visse l’infanzia e l’adolescenza sotto il fascismo, in un territorio che era in quel periodo in mano italiana e dove gli era proibito parlare pubblicamente la propria lingua. Grande appassionato della letteratura italiana, Zlobec avrebbe tradotto in sloveno, tra l’altro, il meglio della poesia italiana del Novecento, fra cui testi di Ungaretti e di Montale (e suo figlio Jaša, cui il libro è dedicato, in memoria, avrebbe continuato tale attività). Nel primo periodo della sua frequentazione di Sciascia, Ciril Zlobec si lanciò nell’impresa di diffondere in Italia un’antologia di testi di poeti jugoslavi in propria traduzione (Nuova poesia jugoslava, Guanda, 1966), lavoro che trova una premessa in un numero doppio della piuttosto ben recepita rivista di Sciascia (5–6 1961) Galleria, uscito agli inizi del 1962. Nelle scelte che guidano quella raccolta, Zlobec mostrò una posizione alquanto autonoma rispetto alle linee della cultura ufficiale e puntò soprattutto sui giovani poeti e su una produzione che toccava in maniera determinante i temi dell’interiorità; nell’ordine impartito alla raccolta fece inoltre valere dei criteri che sottolineavano le nazionalità di provenienza dei poeti. Non a caso col lavoro antologico in volume, uscito qualche anno dopo, si trovò qualche ostacolo della censura.

Anche entro il terzo polo di attori che ebbero una parte importante in quegli scambi – vale a dire il polo friulano, rappresentato in primis dalla personalità di ampio respiro intellettuale del poeta Luciano Morandini, il quale mise in contatto Sciascia e Zlobec, emerge una grande motivazione socio-culturale. Morandini, come altri poeti friulani (quali Cadoresi, Ceroni), era impegnato a portare in questa regione geograficamente e culturalmente decentrata i dibattiti più accesi del momento. Fulcro di quella attività erano il centro culturale «Piero Calamandrei», fondato da Loris Fortuna, e alcune riviste. In particolare Politica e cultura, creata nel 1960 e curata dallo stesso Morandini, sviluppava un programma tangibile d’interazione culturale, come dimostra già solo la scelta di una redazione internazionale che aveva una regolare collaborazione anche con Lubiana, e ciò in anni in cui il friulano medio guardava con sospetto ai vicini «titini» d’oltreconfine. Una volta di più si osserva dunque come le riviste culturali, anche quelle minori, ma guidate con impegno, sapessero fare da vero medium comunicativo.

Dal punto di vista della sua struttura, il volume si compone di articoli, lettere, interviste e altre testimonianze sugli incontri e le collaborazioni dello scrittore siciliano con letterati e artisti jugoslavi oltre che con alcuni intellettuali friulani che mediarono appunto quelle relazioni. Vi è inclusa anche un’appendice che comprende, fra vari documenti, alcuni testi critici di Sciascia su scrittori e artisti jugoslavi. Già da soli, quei brevi interventi meritano attenzione perché permettono di farci un’idea del modo in cui lo scrittore siciliano (del quale scopriamo tra l’altro una competenza in fatto di grafica e pittura) concepisse il genere della recensione. In tali note critiche il suo sguardo non tralascia mai le qualità morali dell’opera considerata: l’analisi procede attraverso un discorso comparato con opere nate in contesti più familiari e ciò secondo un metodo di lettura che non solo tende a cogliere analogie tra esperienze spazialmente e culturalmente distanti, ma (con un approccio caro all’ermeneutica letteraria) lascia spazio anche alla dimensione soggettiva del recensore. L’articolo introduttivo della curatrice, R. Ricorda, ripercorre le occasioni di quegli incontri e spiega le ragioni culturali e politiche che muovevano Sciascia a provare interesse per il mondo balcanico, mentre il successivo, di L. Gasparotto, ricostruisce brillantemente il contesto culturale friulano tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta scoprendo un panorama culturale ancora poco indagato. Seguono degli articoli (rispettivamente di Ožbot; Rojć; Ðurić e Janjić) dedicati a illustrare le modalità della presenza di Sciascia in Slovenia, Croazia e Serbia ovvero della ricezione (tutto sommato piuttosto scarsa) delle sue opere in quei paesi. Fra tali interventi anche un’intervista a C. Zlobec, a cura di G. Lombardo, e un articolo di due giovani studiose slovene (N. Pahvonik e P. Špeh) sulle tendenze poetologiche seguite dai poeti jugoslavi presentati su Galleria – interventi che rievocano un pezzo di storia culturale jugoslava e diventano bussola orientativa alla poesia che vi si produceva in quegli anni. Chiudono il volume (prima dell’appendice) un articolo di A. Cinquegrani sulla ricezione da parte di Sciascia di due grandi narratori dell’Est (come Ivo Andrić e Danilo Kiš) e un commento di F. Izzo ai documenti iconografici inseriti nel volume.

Frammento biografico, fatto della rievocazione d’incontri e collaborazioni di lavoro divenute amicizie, di viaggi non sempre facili, di piccoli eloquenti aneddoti, il libro in questione è altresì rievocazione di un brano di cultura della Jugoslavia. Prevenendo possibili obiezioni, la curatrice spiega nella premessa perché abbia scelto di parlarne in questi termini e non come di «ex» Jugoslavia: innanzitutto Sciascia conobbe quei luoghi sotto tale nome e in quei termini esso appare nella sua corrispondenza, inoltre la Jugoslavia fu, con le parole di Francesco Privitera da lei riprese, un’esperienza «cronologicamente definita» (p. IX) altrettanto di quanto lo furono l’Impero romano o l’Impero asburgico. È scelta certo pertinente.

Un limite del volume è semmai il ripetersi delle notizie intorno a cui ruota la rievocazione di quegli scambi culturali, ma era aspetto forse inevitabile visti i pochi eventi che siglarono gli incontri dello scrittore siciliano con intellettuali del mondo jugoslavo.

Se il lavoro non apre, come credo, degli aspetti nuovi sulla scrittura di Sciascia, contribuisce sicuramente a mettere a fuoco l’uomo, e non solo: ci permette di cogliere la curiosità intellettuale e la carica etica con cui si faceva cultura in quegli anni assieme all’energia che animava tali intellettuali nel voler sfondare barriere ideologiche e spaziali in un’epoca dove queste erano ben concrete.