A Ficari man in New York

• Sergio Fabiani •


PID: https://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-EAA4-8

A Dj Cavallo Rock - fonte d’ispirazione e compagno di mille avventure

24 dicembre 2018

DAY 1

Inizio le mie memorie americane scrivendo come Flaubert con una piuma d’oca.

In realtà la mia è di un cigno del lago Balaton col quale ebbi un violento scontro durante un allenamento per il triathlon anni addietro, di cui porto ancora vistose cicatrici. Nella colluttazione gliela strappai dalla coda. Ma questa è un’altra storia.

Prima della partenza passo a salutare la mi mamma che mi spara una raffica di state attenti a. Mamma non vado in Siria. Ribatto. Sono impermeabile ormai, solo l’ultima testuale, cattura la mia attenzione: Sta attento a que’ citti che un te li portino via. Tonino Guerra questo sconosciuto.

Corro per le scale per scappare da ulteriori ammonimenti ma lei indomita dalla terrazza mi urla dietro: Ma quando tornate??? Memore dei 2 giorni a Rimini trasformatisi in 2 mesi di Grecia nel lontano ‘95. Co le rondini mamma, torniamo co le rondini.

Il volo è per le 18.00. Noi arriviamo in aeroporto con largo anticipo (ore 13) come i coloni (contadini) che vanno al mercato e arrivano prima che gli ambulanti abbiano esposto la mercanzia.

So al mio primo volo intercontinentale. Non lo voglio perdere.

La compagnia scelta dall’esperta Elvetica con la quale condivido la vita da 15 anni è la Norwegian Air. Affidarsi ai vichinghi (grandi esploratori) per una trasvolata atlantica lo deve aver trovato una garanzia.

Passato indenni check-in e duty-free saliamo in un aereo decisamente fatiscente. A darci il benvenuto c’è Ines affascinante hostess dallo sguardo magnetico. Steward e hostess hablano fra loro in spagnolo... o unnerano Norvegesi? Non mi pareva che gli spagnoli avessero colonizzato anche la Norvegia.

Sti nordici avranno fatto come quello che dice: io metto la macchina (per andare in discoteca) ma non guido. Boh.

Paloma sale di corsa e va a piazzarsi nelle poltrone della business. Questi sono gli effetti collaterali dovuti alla frequentazione della nonna svizzera. Quando sono insieme fanno più shopping di Paris Hilton. È chiaro che pensi che il suo status sia da facoltosa.

Alla ricerca della poltrona in vilpelle (pelle di vigliacco) a me riservata scruto le facce per vedere se ci siano potenziali dirottatori da neutralizzare prima che il gioco resti. Noto con piacere che oltre alla mia, nessuna faccia è da tipico terrorista.

Per distrarre Paloma che sembra un po’ tesa le faccio calcolare la durata del volo in secondi. Risponde poco dopo euforica: 32.400 secondi babbo. Brava ora fai la cuccia. Non se lo fa dire due volte, e come un ghiro alle porte dell’inverno entra in letargo. Quasi 10 ore, tempo in cui le splendide hostess (sembra l’abbiano capate) faranno di tutto per intrattenere i passeggeri.

Io, terrapiattista convinto, ho portato con me Samantha. È AstroSamantha, la Cristoforetti e il suo libro in cui racconta le sue avventure nello spazio.

Siamo in fase pre-decollo c’è gran fermento. Tutti a cercare cose nella cappelliera. Si sfiora la tragedia e la rissa quando il mio vicino di posto apre la sua. Un trolley schizza fuori e cade in testa a un signore che bestemmiando in aramaico o gaelico (non saprei dire con esattezza) si alza per applicare la legge del taglione (come biasimarlo). Le hostess e gli steward evitano il peggio.

Il ferito con sguardo truce si passa il pollice sotto la gola, che nel linguaggio internazionale dei segni significa diventi carne halal (ti sgozzo in sardo).

Dopo questo inizio spumeggiante l’aereo decolla senza altri fuori programma. Si accendono i piccoli schermi ubicati nel poggiatesta del sedile di fronte e parte il primo film. Il fatto di non poter scegliere cosa guardare lo trovo poco democratico ma se inizio a polemizzà subito...

Un action movie assurdo, la classica americanata dove un tizio muscoloso con una pinzetta per le sopracciglia ne uccide 2500... circa... Matilevidacoglioni.

Visto che l’intrattenimento cinematografico non sarà da palma d’oro mi sopisco. Il sonno viene interrotto di tanto in tanto da turbolenze che shakerano il velivolo. E da Ines.

Nel pacchetto «non badiamo a spese» scelto dall’Elvetica sono compresi i pasti… era meglio di no… ora nessuno pretende un menù stellato Michelin… ma così manco li gani... disse Rosa.

L’ultima volta che ho volato le hostess provavano a vendere ogni sorta di merce dal whiskey ai rasoi elettrici, dalle riviste ai gratta e vinci. Stasera un gratta e vinci lo comprerei per vedere se la dea bendata in questa gita sarà dalla nostra. Mi sa che ‘sti vichinghi non so così alla canna del gas.

Dopo un paio d’ore quando gran parte dei passeggeri ha abbassato la soglia di attenzione (dorme) faccio come le donne durante il pranzo ai matrimoni, mi tolgo le scarpe.

Nella mia lunga lista delle cose da fare prima di morire ho: espletare deiezioni in altissima quota (cacare in aereo) col recondito sogno di riuscire a colpire un piccione o un gabbiano per fargli capire cosa si prova. Nell’indifferenza generale mi alzo e vado a spuntare sta cosa dalla lista. Dopo diverse manovre riesco a sedermi sulla tazza. Peccato che dopo aver evacuato scopra (dal nuovo oracolo di Delfi... internet) che tutto il mio sforzo sia stato vano e il bisogno grosso venga immagazzinato, per poi, una volta atterrati smaltito. E io che immaginavo scie chimiche marroni. Il solito romantico sognatore. Mainagioia.

Ines mi invita ad allacciare le cinture, eseguo il suo ordine.

Stiamo per toccare terra. Al primo rimbalzo, il pilota, sembra perdere il controllo del mezzo o forse sembra a me.

In quel breve lasso di tempo (non mi passa la vita davanti, solo il ricordo di una notte epocale a Mykonos) faccio in tempo a dire mentalmente un Atto di dolore e tre Ave Maria senza errori. Immagino Maria che mi guarda dall’alto dirmi: quando hai bisogno ti raccomandi senza fà tanto l’alternativo ateo eh... coglione!

Atterriamo, nessun pirla applaude. Peccato.

Mettendo piede sul suolo americano non mi sento Armstrong sulla luna, più un moderno Marco Polo sulla via della sete. Il mio entusiasmo è subito frenato dalla fila chilometrica che dovremo affrontare per il controllo passaporti. Dopo 2 ore è il mio turno, la mia faccia non gli piace, nemmeno a me la sua. Una partita di calcio più due supplementari passati in coda in piedi a procedere a passo, mi girano talmente i coglioni che cerco lo scontro...Scandisco in italiano: Bianco caucasico 178cm (certificò il Brozzi) capelli (quando l’avevo) il gendarme continuando a battere sulla tastiera con una certa sufficienza, mi indica il display dove poggiare le mani per le impronte digitali di tutte e 10 le dita e il visore per la scansione dell’iride. Gli chiedo se mi vuole tatuare un numero sul braccio. Continuo a provocarlo. Allungo una mano verso di lui e chiedo: mi vuoi misurare diabete e colesterolo?

Obbietta qualcosa che non capisco. Calmati babbo mi dice Jari dissociandosi dal mio atteggiamento polemico, o sarai la causa di un incidente diplomatico. Toccasse raccomandarsi alla Farnesina appena rivi.

Il paese delle opportunità m’è già venuto a noia.

Riflettendo (non è vero non so bono a riflette) mi calmo e capisco che vivendo in una piccola realtà come Cinigiano non ci rendiamo conto di quanto il terrorismo abbia inquinato le nostre vite.

Recuperato il bagaglio usciamo a cercare la navetta che ci porti all’albergo, il termometro segna 23 gradi Fahrenheit equivalenti a meno 5 dei nostri. Benvenuti in America.

Sono le 23:56 è ora della nanna, ma per il nostro orologio biologico sono le 6 del mattino. Il risveglio è strano il disturbo del ritmo circadiano (jetlag) si fa sentire. Vaghiamo per l’albergo alla ricerca di non so cosa. Lo so cosa.

Ho fame e quando ho fame posso diventare letale. Nel nostro piano c’è una stanza chiusa a vetri, pare un acquario, dove alcune persone mangiano beatamente. Avvicino la mia chiave magnetica all’uscio. Non si apre. Non mi voglio far riconoscere subito e scardinare la porta. Con finto aplomb chiedo lumi alla mia compagna. Dice di non aver aggiunto la colazione perché ci sarebbe costata in 4 altri 80 dollari più le tasse. Manco da Cracco. Quanta parsimonia mademoiselle, non ti riconosco. L’incazzatura sale di 4\5 tacche.

Fortuna vuole che passi un corpulento signore che, vedendomi infervorato a discutere con la madre dei miei figli, capisca il mio malessere e con la sua chiave apra la porta augurandoci buon Natale. Le hai salvato la vita e non lo sai principe senza nome.

Dopo aver scroccato sta colazione da 80 dollari scendiamo. (Smetto di mangiare quando, secondo me, ho raggiunto gli 80 dollari. Dopo un’ora e un quarto circa.)

Ho dimenticato in camera il carica telefono.

Fai veloce che ho chiamato Uber, dice la mia compagna.

Arrivato nella hall mi aspetto di trovare Aldo nelle vesti del poliziotto svizzero Huber intento a salvare gli incauti Gervasoni e Sig. Rezzonico. Scopriremo poi che trattasi di una app mondiale di taxi di cui ero l’unico all’oscuro. Economica dice. Mica tanto dico io.

Nella hall in attesa di Uber per ammazzare il tempo mettiamo al voto i ruoli che ricopriremo durante la vacanza.

L’Elvetica viene eletta all’unanimità capo cordata, responsabile della logistica e dei rapporti con le autorità locali.

Jari: assaggiatore ufficiale (mangia quanto un tribunale).

Paloma: direttrice della fotografia e social network manager.

Sergio: (io) cassiere, cuoco e narratore.

Nota dell’autore

Sergio Fabiani al momento prova a sfamare la famiglia facendo il muratore. In passato ha fatto il macellaio (smesso per problemi etici) e il falegname. Coltiva la passione per la scrittura dalla notte dei tempi ma solo con l’avvento di Katja (la moglie), dal cartaceo è passato al digitale (vedi www.leficari.com). È attualmente impegnato, in questa quarantena, a scrivere Il DeFicarone.

A Ficari Man in New York è stato scritto, e dedicato, per raccontare la vacanza americana al suo caro amico molto malato, venuto a mancare pochi mesi fa.