Alberto Bertoni: Poesia italiana dal Novecento a oggi
Bologna: Marietti editore 2019, 232 S., 20 €
ISBN 978-882-111-352-9

• Riccardo Frolloni •


PID: https://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-EA9E-0D

Attraversare il Novecento

In un libro a me molto caro come La critica del nonostante (Pendragon 2016), Guido Guglielmi, inaugurando, sulla scorta di Lukàcs, afferma che «se c’è letteratura c’è critica; se non c’è letteratura la critica muore. Non è pensabile una letteratura che non sia nutrita di ragioni, quindi di ragioni critiche»; la critica, si dice, è un atto arbitrario, e lo è anche la poesia. La critica, così come la letteratura, rapportandosi all’infallibilità del sapere scientifico, il quale può conoscere un tipo di «crisi» solo momentaneo e legato a problemi estrinsechi come quelli finanziari e non di metodo, deve operare «nonostante» la crisi, «da tempo ormai si parla di crisi della critica letteraria, di crisi della cultura in generale, di crisi del romanzo, di crisi della letteratura, e questo è un fatto su cui tutti consentono». La letteratura resta fondamentale poiché specchia la naturale ricerca di verità dell’uomo, nonostante il sapere di oggi sia la scienza e «tutto il resto sembra paccottiglia»; verità che non è di tipo scientifico ma ancora, insistentemente umanistico. Guglielmi continua scrivendo che la cosa più facile è delegittimare la critica, come la cosa più facile da dire è ‹la letteratura è morta›: «non si vede più – sembra – una funzione della letteratura; e «se la letteratura è morta, la critica è sicuramente morta». Se la letteratura creativa si spegne, nessuno capisce più la letteratura e dunque non si capisce cosa possa fare la critica. Citando Leopardi, Guglielmi ci riporta alla perdita del «sensorio» necessario per capire la poesia, un sensorio ‹acquisito›, nato, nel caso di Leopardi, dalla lettura di Virgilio, Orazio, Dante, Petrarca ecc. Senza questa sensibilità per il testo, il testo ti sfugge (pp. 26–30).

Più di dieci anni fa, nel volume La poesia. Come si legge e come si scrive (Il mulino 2006), Alberto Bertoni aveva stimato che per duemila lettori di poesia ci fossero in Italia due milioni di scriventi versi. Da allora, questa suddivisione è stata ripresa a ogni occasione per illustrare lo stato della poesia in Italia: lo strano caso di un prestigio che tutti inseguono pur non contribuendo attivamente alla sua sopravvivenza. La questione sembrava ormai limitata a un malcostume da protagonismo o, nel migliore dei casi, alla sopravvivenza o alla rinascita di una pratica privata della scrittura poetica che non spostava l’asse del problema di un millimetro, ma in qualche modo giustificava i discorsi sulla ‹necessità› della poesia, nonostante l’ufficiale disinteresse dei mezzi di comunicazione. Ai gruppi degli scriventi-lettori e degli scriventi-non-lettori ne vanno aggiunti altri: i fan di una figura specifica, gli spettatori che frequentano gli slam e i lettori dei poeti ‹pop›; il numero così si moltiplica esponenzialmente, facendo esultare qualcuno che inneggia una fantomatica rinascita della poesia, rinascita che, ovviamente, presuppone una morte. Tutti questi gruppi sono composti per lo più da persone che leggono o ascoltano per il piacere di farlo e non perché ‹addette ai lavori›. La grande differenza sta nel fatto che questo pubblico legge e ascolta tutt’altro rispetto ai poeti dall’approccio più tradizionale, o, mi permetto di dirlo, più serio (quelli che scrivono un libro, lo pubblicano e fanno presentazioni, appaiono nei cartelloni dei festival letterari, scrivono articoli, recensioni, lavori di critica, ecc.), i quali non sono riusciti a, o forse non hanno voluto, creare personaggi tali da rimanere vividi in mente, e ogni volta ripartono da zero. Il «pubblico – nuovo – della poesia» (Berardinelli, Il pubblico della poesia, Lerici 1975) è completamente nativo nelle forme che apprezza e nelle modalità di scrittura che consuma. Il divorzio tra il lavoro degli artisti e le attese del pubblico, che è un fenomeno della modernità, non di questa o quella poetica, ha obbligato gli artisti a un lavoro sperimentale, sia in direzione della distruzione dell’arte, praticata dalle avanguardie, sia, al contrario, in direzione di una lirica ‹pura›. Ma è inevitabile che il medium linguistico, proprio perché è un medium, sia pubblico. La poesia, dunque, resta intimamente legata alla comunicazione, nel momento stesso che la rifiuta; nonostante non sembri possa mai essere un genere di massa (senza per questo doverla pensare come un genere di élite), non rivolgendosi a quelle parti dell’individuo che si risolvono in uomo-massa.

Il critico, posto che conti, è sempre anticipante: dice qualcosa che suscita una prima reazione negativa di perplessità e poi cambia il modo di pensare e di giudicare, e così la critica risulta un'iniziativa produttiva quanto la letteratura. Sembra ci sia una difficoltà nell’orizzonte letterario a gestire i propri valori attuali, cioè a credere in se stesso e a porsi come codice utile e magari necessario. Ridotti a tutela di ciò che non è presente, e magari non può più essere attuale, lo studio e l’insegnamento della letteratura mostrano di aver interiorizzato la marginalizzazione in corso; mostrano, perfino, di aver introiettato in anticipo il giudizio storico di condanno. Le ragioni di questa difficoltà a gestire il canone della contemporaneità paiono essere soprattutto tre: «la restrizione oggettiva dello spazio sociale occupato dalla letteratura», «il collasso dell’identità dell’intellettuale legislatore» e «il trionfo dell’originalità disseminata del surrealismo di massa»1, ovvero la mancanza di un interesse per l’autorevolezza e la profondità esemplari. Nella contemporaneità assistiamo ad un continuo corpo a corpo tra l’indifferenza mercantile a ogni gerarchia di valori e il mutevole concretizzarsi delle più svariate forme di resistenza a questa indifferenza. È grazie a libri come quelli di Alberto Bertoni, al ‹nonostante› della critica, che si conferma la consapevolezza dell’eccezionalità del Novecento letterario italiano.

In Poesia italiana dal Novecento a oggi (Marietti 2019) troviamo una chiara, accademica ma comunicativa, sintesi della storia letteraria della poesia italiana nel suo secolo più controverso ed estroverso. Compito affatto semplice, considerate le coordinate storiche, sociali, economiche e culturali dell’Italia del secolo scorso, attraversata da luminose genialità artistiche e da un sottobosco di poetiche in una continua riscoperta. Il libro si presenta come un prontuario per giovani che si vogliono avvicinare a comprendere (leggere e scrivere) la poesia contemporanea: è necessario tornare alla fonte, e dunque alle rivoluzioni letterarie, tacite e meno, di fine Ottocento, e pagina dopo pagina risalire, autore per autore, tra stralci di lettura, commenti precisi come bisturi e suggerimenti inediti di rilettura. Ricominciare dalle basi, dalla metrica, dalla prosodia, non è mai inutile, ricordarsi dell’impossibilità di un’arte senza una tecnica, una forma, e così Bertoni ci offre alcune lezioni di poesia, dai concetti base agli argomenti più ricercati: «dalla linguistica alla metrica»; «fra metro e ritmo»; «la metrica, la musica»; «ai confini del verso (e oltre)»; per citare alcuni titoli di paragrafo. Non è secondario riflettere sul significato della poesia, questo «messaggio di dislocazione, di trasferimento, di movimento nello spazio e nel tempo: e innesca sempre, anche se prodotta nel codice linguistico nativo di chi la riceve, un atto di inesausta traduzione. [...] Chiunque può sperimentarla e ‹agirla›, dal momento che i due grandi motori sentimentali ed emotivi dell’essere umano in generale – come dell’ homo poeticus in particolare – sono poi solo due, l’amore e la morte» (p. 132).

Poi il testo spicca il volo, si spinge verso i territori scoscesi della storia e tenta una mappatura: in prossimità della poesia odierna, Bertoni non indietreggia e fa nomi e cognomi, elenca opere, correnti, riviste, organizza geograficamente e culturalmente, chiosa e specifica, commenta. Osare dire come imperativo del critico. Ma Alberto Bertoni è soprattutto un ottimo professore, e come tale riflette sulla didattica della letteratura e in particolare sull’importanza di una educazione alla poesia. Coinvolgono quelle prime pagine del paragrafo «Insegnare la poesia oggi», dove l’autore si espone anche privatamente, si confessa prima come giovane lettore, i primi contatti con la poesia, e poi come insegnante; parla dei sui maestri, del nume tutelare di Ezio Raimondi, ma anche di tutti quei compagni di strada, poeti e studiosi che salvano, letteralmente, la vita di chi scopre la poesia: «il filo comune, il patto non scritto che mi lega a tutti questi amici più o meno coetanei che nei decenni hanno formato il Dna della mia esperienza poetica, risiede proprio nella disponibilità a leggere anche gli altri, a discutere insieme delle loro operazioni inventive, a tradurli se autori o autrici in altra lingua, a confrontarsi onestamente su poetiche anche completamente diverse o addirittura opposte rispetto alla propria. Se non sussiste questa disponibilità profonda e direi innata al confronto e alla lettura reciproca, non esiste comunità poetica: e io sono stato amico di poeti solo a patto che nel nostro dialogo si tengano da parte i narcisismi sempre in agguato e si dialoghi con passione di testi e di libri per così dire in carne e ossa» (p. 129). Il capitolo si conclude con lo sviluppo di tre diversi approcci alla poesia, basati sulle opere di tre diversi autori: un approccio tematico, uno metrico e uno didattico, riferiti rispettivamente alle poetiche di Giudici, Rentocchini e Magrelli.

Ma una storia letteraria è utile se ritorna al futuro, se lo interroga e se tenta delle risposte. Il Novecento è un secolo da attraversare per intero, il nuovo millennio ci pone ora nuove sfide alla luce di quanto studiato ed esposto. Affrontare il post, con le sue contaminazioni, la sua realtà liquida, i nuovi concetti di estetica che passano per i media e, di conseguenza, il ruolo della poesia e con essa della critica: il libro si chiude nel dialogo, con la ferma convinzione che «la vera poesia non ha dubbi a schierarsi sempre e comunque dalla parte delle cose come stanno» (p. 223).

Bibliografia essenziale

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— Poesia come retorica, Firenze, Olschki Editore 1980.

 

  1. Pietro Cataldi, «La poesia, il canone, il mercato. Riflessioni sulla letteratura classica e la letteratura leggera», in Ugo M. Olivieri (a cura di), Un canone per il terzo millennio. Testi e problemi per lo studio del Novecento tra teoria della letteratura, antropologia e storia, Milano, Bruno Mondadori Editore 2001, pp. 138–139.