Cesare De Marchi: L’inseguitore
Milano: Mondadori 2021

• Gino Chiellino •


PID: http://hdl.handle.net/0000-0007-F98B-4
Cesare De Marchi: L’inseguitore. Milano: Mondadori 2021, 216 pp., Euro 19,-, ISBN: 978-8804736066

Le vite parallele di Karl e Carlo

Nel presentare l’ultimo romanzo di Cesare De Marchi L’inseguitore (2021) l’editore lo descrive come un’analisi acutissima e allo stesso tempo consolatoria della senilità. In effetti il romanzo si apre sullo stato di grazia del protagonista Karl, che dopo quarant’anni di insegnamento in un liceo di Stoccarda si vede liberato da tutto quello che vuol dire scuola, colleghi e colleghe compresi. Finalmente potrà dedicarsi al suo profondo bisogno di sapere, rimasto insoddisfatto per decenni. Finalmente potrà confrontarsi con le opere scientifiche, che compongono la sua biblioteca, e ascoltare la musica classica, che l’attende paziente in tanti CD. Ma Karl non deve essere convinto del tutto di questo suo programma da pensionato felice, perché dopo un approccio deludente ad un testo di genetica decide di curiosare in un mondo rimasto estraneo alla sua quotidianità di docente di lingue straniere. Più per diversivo che per chiara volontà va ad aggiungersi ai milioni di fruitori di una gigantesca piattaforma, che non gli nega un colpo di fortuna. E così entra in scena la protagonista femminile: Gabi A., una giovane donna avvenente, di pronta iniziativa erotica che gli sconvolge in modo piacevolissimo il suo programma da pensionato intellettuale. Di Gabi sia a Karl che al lettore verrà rivelata l’intensità del suo amore per un partner da internet, il suo erotismo che consola e espone a nuovi tormenti il duplice divorziato Karl, che non riesce a giustificare l’amore di Gabi per un «vecchio» (p. 21) come lui. Di Gabi Karl tenterà invano di scoprirne la professione, a cui lei accenna vagamente per giustificare le sue assenze e le sue apparizioni notturne. Da esse vanno inclusi i tre giorni di felicità continua, perché Gabi li preannuncia e così Karl e Gabi potranno viverli in stile viaggio di nozze andando a visitare Tubinga, Maulbronn e Schwäbisch Hall.

Per sottrarsi all’attesa delle telefonate di Gabi, che coll’andare della loro relazione si rarefanno, per sfuggire ai dubbi amorosi, che lo deprimono, e a tante domande su Gabi, sul suo lavoro avvolto nel mistero, e sul suo interessamento per un «vecchio» (p. 21), a cui Karl non sa darsi una risposta, uno dei tanti giorni da pensionato decide salire al bosco che sovrasta la città per una passeggiata rilassante. Il caso vuole che proprio lì venga riconosciuto dal suo amico Carlo, che non vedeva da trent’anni, anche lui pensionato e a passeggio per sottrarsi alla lentezza del tempo. Per riattivare l’amicizia decidono di ritrovarsi, di tanto in tanto, a cena in un ristorante o una pizzeria come ai bei tempi.

Proprio durante uno dei primi incontri Carlo, da terzo protagonista del romanzo, ne rimodula il progredire a quel punto impostato sul binomio Gabi-Karl, e lo fa con la seguente osservazione, sorprendente perché proposta da ‹italiano vero›, che a Stoccarda ha dedicato da sempre se stesso a tante donne consenzienti:

«I nostri nomi: pensaci bene, ciascuno dei nostri due nomi, che sono quasi identici, nasconde una parte che nell’altro è bene in evidenza. Nel tuo manca, con la o, la tua parte italiana; il mio dissimula sotto la c la k di tutta la mia parte tedesca.»
«Ma queste sono elucubrazioni, Carlo, idee tirate per i capelli. Proprio tu che sei medico, un uomo della concretezza scientifica!»
«E non vogliamo in nome della concretezza scientifica, e in nome della nostra amicizia ritrovata, provarci a ripescare quella parte di noi rimasta in ombra?» (p. 91)

Per rinvigorire l’amicizia Carlo propone di recuperare quella parte del loro percorso di vita mai svelata l’uno all’altro, ma non per questo dimenticata o addirittura rimossa, soltanto esclusa dal loro scambio di informazioni superficiali o intime che siano state.

Se il romanzo L’inseguitore fosse stato ambientato in un contesto strettamente monoculturale, cioè solo tedesco o soltanto italiano, e se Karl e Carlo disponessero di un percorso di vita integro e di un’appartenenza a una sola cultura, il recupero «della parte rimasta in ombra», ossia degli anni antecedenti alla loro amicizia, non comporterebbe nessuna rimodulazione del suo flusso narrativo e quindi si potrebbe essere completamente d’accordo con chi ha recensito l’opera nel modo seguente: «La qualità migliore che possa riconoscere a questo romanzo, che ne ha diverse, è che somiglia poco o per nulla alla grandissima parte della narrativa italiana di questi ultimi anni» (Amazon.it). In altre parole per la sua diversità qualitativa L’inseguitore si discosterebbe dalla narrativa italiana contemporanea ma non dai romanzi, che Cesare De Marchi ha scritto da quando vive in Germania, primo fra tutti La furia del mondo (2006) e dunque il romanzo va letto come modello esemplare ma pur sempre e solo di narrativa italiana.

Senonché le domande di Carlo: «Prima, prima di conoscerci, che cosa eravamo stati noi due, prima? Come eravamo diventati le persone che allora si stavano di fronte e si parlavano?» (p. 90) e soprattutto il suo sentirsi deficitario («Nel tuo manca, con la o, la tua parte italiana; il mio dissimula sotto la c la k di tutta la mia parte tedesca.» p. 91)1 rimandano ad un tema centrale della letteratura interculturale europea così come essa viene scritta dalla metà del secolo scorso ad oggi, ovvero al tema dell’integrazione del percorso di vita dei protagonisti, che si è svolto in culture e lingue diverse.

Rispetto ai percorsi biografici integri e lineari dei protagonisti delle letterature nazionali contemporanee quelli dei protagonisti di romanzi interculturali si svolgono in due, a volte in tre spazi culturali diversi, perfino avversi. Pertanto ne consegue che la ricostruzione dei percorsi di vita di emigrati, esiliati, rifugiati sia più focalizzata quando avviene in una lingua diversa dalla lingua originaria dei protagonisti e dello scrittore, mentre risalta di meno nelle opere di chi, come Cesare De Marchi, Marisa Fenoglio o Giovanna Miceli Jeffries, continua a scrivere nella sua lingua e dei suoi protagonisti, ma ciò non vuol dire che abbia minore intensità estetica.

Tra i romanzi interculturali dedicati tra l’altro all’integrazione del percorso di vita del protagonista in una lingua diversa da quella della sua provenienza etno-culturale primeggiano: Albert Memmi Agar (1955), Tschingis Aitmatow Dshamilja (1958), Libuše Moníková Eine Schädigung(1981), Theodor Kallifatides En fallen ängel(1981), Dante Andrea Franzetti Der Großvater (1985), Agustin Gomez-Arcos L’agneau carnivore (1985), Vassilis Alexakis Paris-Athènes (1989), Franco Biondi Die Unversöhnlichen oder Im Labyrinth der Herkunft (1991), Hector Bianciotti; Ce que la nuit raconte au jour, (1992), Andreï Makine Le Testament français (1995), Jorge Semprún Adieu, vive clarté (1998) e François Cheng Le Dit de Tianyi (2001). Le strategie per narrare l’integrazione del percorso di vita del protagonista sono diverse: un viaggio o un breve rientro nello spazio culturale delle proprie origini, un manoscritto che racconta la storia di un amico/artista come alter ego dell’io narrante, la parentesi estiva con gli amici d’infanzia, romanzi impostati direttamente sull’infanzia del protagonista in uno spazio culturale diverso da quello in cui egli stesso vive al presente, ma anche la visita inaspettata di un amico d’infanzia nel paese in cui vive l’io narrante.

Nel suo romanzo Cesare De Marchi ricorre ad una variante particolarmente interessante per l’integrazione del percorso di vita dei suoi protagonisti e cioè quella delle vite parallele di due amici: Karl, figlio di madre genovese e padre tedesco, che si sono conosciuti a Genova verso la fine della guerra ed poi trasferiti in Germania, e Carlo, figlio di una coppia di immigrati lucani, ma cresciuto da Ludwig, dopo la morte del padre a causa di un incidente sul lavoro. L’originario stato sociale così differente dei protagonisti sottolinea la diversità del grado di appartenenza alla cultura tedesca, così come lo ripropongono in tono minore le loro professioni: Karl da insegnante di lingue straniere è stato in un certo senso responsabile dei rapporti della cultura tedesca con le diversità di altri stati europei; mentre Carlo da medico ortopedico ha aiutato i suoi pazienti a riprendere il loro percorso di vita. Svelando l’uno all’altro gli anni di vita antecedenti alla nascita della loro amicizia ne scoprono insieme le affinità esistenziali che li hanno portati a diventare amici, ma allo stesso ognuno per se ricompone il suo percorso di vita, che fino al raggiungimento della incerta condizione di pensionato, era rimasto diviso in due.

E come se non bastasse i due amici discettano casualmente su uno dei temi ancestrali della letteratura interculturale: fino a che punto giovi o nuoccia la procreazione a chi non è dato o negato sentirsi parte integrante della cultura/società in cui vive perché figlio di immigrati. Fino a che punto trasmettere ai propri figli le difficoltà esistenziali vissute sulla propria pelle, come per esempio quel sentirsi l’insieme di due metà inconciliabili, ed in ogni caso sentirsi deficitario rispetto alla norma. Il fatto che entrambi i protagonisti abbiano optato per la non procreazione può essere spiegato come un atto di responsabilità, ma anche come sfiducia in un futuro interculturale della società tedesca o addirittura può essere giustificato a causa dell’assenza di modelli di famiglia interculturale a cui orientarsi.

Altri due temi fondanti della letteratura interculturale europea sono il tempo come memoria storica e lo spazio come appartenenza. Gli immigrati, i rifugiati politici, gli esiliati, ma anche chi va a vivere in un’altra cultura per sua libera scelta, e con essi i loro figli, si trovano a vivere in uno stato esistenziale privo di profondità temporale o storica e in uno spazio senza nessuno appiglio di appartenenza . Nel corso del romanzo L’inseguitore l’appartenenza allo spazio viene legittimata attraverso le prestazioni professionali dei protagonisti, mentre il recupero della memoria storica è adombrato nei viaggi di Karl in città dense di un vissuto storico-culturale come Tubinga, Maulbronn e Schwäbisch Hall. In più Karl mette a frutto l’introduzione al piacere della musica classica ricevuta dalla nonna materna, anch’essa foriera di memoria storico-culturale. La ricerca di una memoria storico-culturale non interessa invece più di tanto Carlo, che continua a vivere in un presente dilatato fino alla vecchiaia, da lì fino al ricovero nel suo ospedale, che ne fa intuire la morte.

Se il romanzo si avvia come racconto delle vicissitudini amorose del pensionato Karl l’incontro fortuito tra i due amici, Karl e Carlo, lo spinge a trasformarsi sempre di più in un romanzo strutturalmente interculturale. Per quanta strumentale possa sembrare la presenza della protagonista Gabi, che si materializza dal nulla e scompare senza lasciare alcuna traccia di sé, essa è ben radicata nel romanzo come rappresentazione di un estraniamento professionale che va al di là dell’emigrazione. Mentre a Karl e Carlo è dato ricomporre spazio e tempo per ‹riumanizzare› la loro quotidianità professionale e personale, a Gabi viene negata addirittura la disponibilità del suo tempo, mentre lei stessa si nega l’appartenenza rassicurante ad uno determinato spazio culturale, in nome della sua professione. Vista così il sincero attivismo amoroso-erotico di Gabi non è altro che un tentativo di riequilibrare l’estraniamento emotivo, a cui continua ad esporsi per garantirsi una vita professionale gratificante. La ritrovata quiete da parte di Karl, che finalmente potrà attuare il suo programma di pensionato avido di sapere, rassicura il lettore, ma nell’ottica interculturale essa è frutto dell’integrazione del suo percorso di vita, che l’ha stabilizzato internamente, e non è certo un accattivante lieto fine.

  1. Il corsivo è dell'originale, il sottolineato di G. Chiellino.