Emanuele Trevi: Due vite
Milano: Neri Pozza 2020

• Miona Dinić •


PID: http://hdl.handle.net/0000-0007-F998-5
Emanuele Trevi: Due vite. Milano: Neri Pozza 2020, 144 pp., Euro 12,-, ISBN: 978-88-545-2046-2

Scrittura come salvezza dall’oblio

Verba volant, scripta manent. Un disperato tentativo umano di ingannare la morte. Un riuscito tentativo di Trevi di immortalare e dare omaggio a due suoi amici morti troppo presto, Rocco Carbone e Pia Pera. Lo scrittore e critico letterario romano ha vinto il Premio Strega 2021 (sfuggitogli nel 2012 per il romanzo Qualcosa di scritto1 proponendo una biografia ibrida il cui tema principale è l’amicizia. Trevi narra questa amicizia attraverso la tessitura di un mosaico di ricordi ovvero episodi di alcuni momenti condivisi, felici e tristi, offrendo allo stesso tempo le sue riflessioni su temi esistenziali e parlandoci della letteratura come un fattore decisivo della sua vita, che diventa allo stesso tempo un filo rosso del racconto dedicato a questi amici.

Ciò di cui il lettore si rende conto molto rapidamente è che il titolo che Trevi propone è in certo senso fuorviante. Quella che finge di essere una biografia di due persone è implicitamente anche la biografia di una terza figura di scrittore amico delle due cui è dedicato il libro. Veniamo infatti a conoscere lo stesso Trevi nel modo in cui descrive i suoi amici, attraverso un tono amichevole quasi confessionale, un lessico quotidiano e colloquiale e le tante domande riflessive che ci pone presentandoci Rocco e Pia.

Il plurale del titolo fa parte di una serie di dicotomie che percorrono tutto il romanzo. Si noti che finora abbiamo definito l’opera di Trevi come una «biografia ibrida», un lavoro composto per ‹frammenti di ricordo› e implicitamente anche come un’autobiografia. In effetti, è un motivo ricorrente di Trevi creare delle opere difficilmente categorizzabili sotto un genere solo. Come accadeva in Qualcosa di scritto, che non può essere definito solo come un romanzo perché contiene anche elementi del saggio e della biografia, anche un lavoro come Due vite non si può ridurre semplicemente al genere biografico, o per lo meno non si può pensarlo come una biografia in senso classico. Non vi sono presenti abbastanza elementi per ricostruire pienamente il profilo dei due personaggi e la loro vita, e però quei pochi sono sufficienti a creare una storia narrabile, un romanzo di tre vite connesse da amicizia e feeling intellettuale.

Oltre alla panoramica sulle due vite di cui parla l’ingannevole titolo del libro, Trevi ci offre una riflessione filosofica sulla duplice vita di ciascuno di noi: «Perche noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene.» (pp. 83, 84) L’autore ci propone la seconda di Rocco e Pia cercando di immortalarli attraverso la parola scritta. E tale elemento, cioè la funzione della scrittura, diventa un tema ricorrente in questo romanzo biografico, che è quasi un memento mori. Tuttavia, Trevi prende le distanze dall’idea che un rapporto di amicizia comporti anche una completa conoscenza dell’amico; inoltre, è proprio nel momento in cui crediamo di conoscere bene una persona che questa diventa «un quadro impressionista» (p. 18). Quindi un ritratto completo e accurato dell’altro è impossibile; tale persona esiste solo nella nostra memoria e la memoria non è necessariamente oggettiva.

La dicotomia che individuiamo nel titolo ritorna nella presentazione delle persone di Rocco e Pia. È profilata proprio una giustapposizione tra i due e al contempo anche un rapporto di opposizione tra loro e il resto del mondo.

Rocco, come suggerisce già il suo nome, viene ricordato come un uomo dal carattere forte e immutabile, qualcuno che voleva vivere una vita piena di significato. Un minimalista con un’anima antica calata nel mondo moderno. Uno scrittore che aveva lottato con problemi mentali, chiuso nella sua intimità «(in)felice», come la definisce Trevi, un’intimità che condivideva con un piccolo numero di persone. La sua vita ci viene presentata dettagliatamente, cioè più dettagliatamente di quella di Pia, forse proprio perché Rocco, morto in un incidente stradale, era scomparso improvvisamente, lasciando nell’amico, che ora ne parla, un senso di vaghezza. Una descrizione non cronologica e più dettagliata della sua vita presente nelle prime pagine del lavoro crea un orizzonte di aspettative nel lettore che ipotizza nel racconto una struttura parallela, vale a dire una descrizione altrettanto attenta per Pia e nel seguito anche un collegamento fra le due vicende. Tuttavia ciò non accade, e questo è uno dei difetti dell’opera. Tutta quella dedizione nei confronti di Rocco Carbone la si può interpretare come una specie di redenzione di Trevi, un tentativo di rimediare al fatto di aver trascurato l’amico, di non aver trascorso più tempo con lui. Personalità opposta a quella di Rocco, Pia viene descritta (a volte in modo un po’ ripetitivo) come una «signorina inglese», di carattere sfuggente, libera nelle sue scelte espressive, femminista e su posizioni progressiste: una donna che scriveva romanzi erotici, traduceva grandi classici russi, si occupava di botanica e che, durante la sua malattia, ebbe il coraggio di scrivere sulla morte, una morte che arrivò rapidamente. Era una persona contenta della sua vita e sapeva godere di quello che la vita le offriva, e mediava positivamente tra Rocco Carboni e Trevi, cosa che purtroppo è solo accennata ma non sviluppata chiaramente. Si nota la mancanza di un discorso letterario più elaborato nella restituzione del rapporto tra Rocco e Pia, discorso che avrebbe potuto enfatizzare ulteriormente quella dicotomia ed evidenziare la grandezza delle rispettive personalità.

Entrambi erano bizzarri (espressione che Trevi usa per Pia, ma che si potrebbe applicare anche a Rocco) e non conformisti nel loro stile di vita. Sebbene avessero dei tratti incompatibili, rientravano tutti e due nella categoria di persone che vanno controcorrente, contro il mainstream e che non si fermano davanti agli ostacoli. Tanto l’uno che l’altra avevano scelto di dedicarsi alla letteratura e facevano ciò che più amavano. È come se Trevi suggerisse che forse per questo hanno dovuto lasciare il nostro mondo troppo presto, proprio come Elpenore nell’Odissea, se seguiamo quel riferimento intertestuale.

Raramente un racconto biografico ha degli elementi che lo rendano universale e lo mantengono a lungo rilevante. Nel caso di questo scritto, dobbiamo riconoscere che ci sono molte riflessioni sulla vita, la felicità, il destino, la sventura, ed anche sulla funzione della letteratura, sul problema della traduzione letteraria e sul difficile intervento, dopo la morte di uno scrittore, sulle sue opere incompiute, ma queste domande di carattere generale restano in qualche modo in sospeso. Il discorso procede cioè attraverso un libero flusso di pensieri che l’autore collega a certe situazioni vissute con i due amici: un focus locale dunque, il suo, sulle cose, e non globale. Il tipo stesso di narrazione restringe allora notevolmente la possibilità di allargare la semantica del discorso e di portare la narrazione biografica su un piano più letterario. Certo vi troviamo immagini poetiche della vita che ricordano il tentativo della vita di imitare l’arte: come quella dell’uccellino morto che dovrebbe rappresentare la (spesso ricordata) morte precoce di Rocco. Tali immagini danno al discorso un’impronta più letteraria, ma non rendono l’opera stilisticamente più forte e lasciano un senso di incompletezza strutturale. Nonostante ciò questa lettura leggera e malinconica si assorbe facilmente per la fluidità narrativa il modo in cui il discorso affronta le questioni esistenziali.

Trevi non riesce di presentare le idee universali trattando casi individuali, e però un sottile messaggio universale emerge ugualmente sul livello olistico. Un’idea presente da quando l’uomo ha ottenuto la capacità di parola: raccontare storie per sfidare la morte. Trevi sa che ogni uomo è una storia, e lui ne ha due da raccontare anche per prolungare, nella memoria, due esistenze. Le parole del grande Ivo Andrić tornano utili qui per riassumere, allora, l’idea di Due vite: «È come se quella storia volesse, come la storia della leggendaria Shahrazad, ingannare il carnefice per rimandare l’inevitabilità del tragico incidente che ci minaccia, e prolungare l’illusione della vita e della sua durata.»2

  1. Firenze: Ponte alle Grazie 2012.
  2. Andrić, I. (2015). Ivo Andrić: O priči i pričanju. URL: https://www.pismenica.rs/knjizevnost/ivo-andric-o-prici-i-pricanju/ [Visto che non esiste altra traduzione italiana, ho tradotto io stessa questa frase dal serbo.]