Francesca Melandri: Sangue giusto
Milano: Rizzoli 2017, pp. 527, Euro 20,00
ISBN 978-88-17-09215-9

· Tereza Hussu ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-DA5C-D

Francesca Melandri propone al lettore di Sangue giusto un interessante e avvincente gioco di prospettive. Le vite di Ilaria, dei suoi tre (anzi quattro) fratelli, di Attilio Profeti, di Abeba e di svariati altri personaggi sono narrate in un modo tale da non farne una saga familiare qualunque. Anzi, dopo Eva dorme e Più alto del mare, la terza opera di questa scrittrice (che di professione è anche sceneggiatrice) ha ricevuto molte recensioni positive, vinto l’edizione 2018 del Premio Sila ’49 dopo una candidatura anche al Premio Strega 2018, e merita senza dubbio di essere letta.
Si tratta della storia fittizia di una famiglia, e tale storia è calata sullo sfondo di un’Italia vicina e molto palpabile. Già dai primi capitoli è chiaro che Francesca Melandri ha condotto un’approfondita ricerca storica per questo lavoro e ne è emerso un romanzo ben documentato sulla colonizzazione italiana in Etiopia. L'opera ha in questo senso anche una funzione informativa ed educativa. Nonostante ci siano tanti dettagli storici e il testo confronti i lettori con un passato italiano recente ma spesso dimenticato, non bisogna confondere Sangue giusto con un romanzo storico in senso stretto. È semmai un romanzo impegnato e di attualità, incentrato sugli affetti, la cui vicenda si sviluppa attraverso la scoperta di un segreto familiare sepolto nella storia.
Gli eventi iniziano in una giornata romana estiva ed afosa. Mentre sta tornando a casa, Ilaria Profeti si imbatte inaspettatamente in Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti, un ragazzo etiope che le mostra un documento e le dice di essere suo nipote. Sorpresa e spaesata, Ilaria s’imbarca insieme ad uno dei suoi fratelli alla ricerca della verità sulle origini familiari di questo presunto nipote dalla pelle scura. «Noi siamo bianchi, Ilaria. Nostro padre è bianco. Se veramente avesse un quarto del nostro sangue sarebbe, diciamo, beige. E invece è marrone.» (p. 75) Si scoprono in seguito tanti segreti che improvvisamente mettono i personaggi di fronte ad un’altra realtà con la quale devono confrontarsi apertamente. Quei pochi giorni d’indagine svolta nel 2010 svelano l’intera storia della famiglia Profeti e al contempo anche una parte dolorosa e dimenticata della storia italiana. Francesca Melandri riesce perfettamente a collegare il personale e il collettivo in un groviglio di personaggi fittizi, emozioni tangibili e avvenimenti storici reali.
L'autrice non descrive dettagliatamente soltanto il contesto storico ma anche ogni personaggio, principale o secondario che sia, facendo trapelare dai fatti la loro personalità (con tutti i pregi e difetti), i loro pensieri e le loro motivazioni.
Aspetto specifico di questa prosa intrigante è anche l’attenzione che l’autrice dedica ai cinque sensi, in particolar modo a quello dell’olfatto. I profumi e il loro significato emergono più volte nella narrazione, e all’inizio specialmente per creare l’atmosfera multiculturale del quartiere romano dove si svolge la storia nell’attualità:

Dal cortile si leva un aroma tostato. Ilaria sa quindi che ore sono senza bisogno di guardare l’orologio: alle due e mezza in punto di ogni notte feriale, i bangladesi del dormitorio al primo piano si fanno il caffè prima di andare a scaricare i camion al mercato Esquilino. (p. 87)

Questa caratteristica riaffiora anche nelle pagine successive, in un episodio in cui si preannuncia un intervento inaspettato della polizia: «Non sale invece alcun odore di fritto dal dormitorio al primo piano e ciò è strano: a quest’ora, i bangladesi sono sempre già indaffarati a cucinare» (p. 224) e «Ecco cosa le mancava: la colonna sonora del subcontinente e le folate al curry. Oggi le scale sono silenziose e prive di odori come nel più signorile dei cortili.» (p. 228)
Dal punto di vista della costruzione del récit, Sangue giusto prevede un continuo e coinvolgente alternarsi di presente e passato e si serve quindi di diversi flashback (come anche di anticipazioni e digressioni). Questa caratteristica non rende affatto la lettura meno scorrevole, al contrario ha l’effetto di invogliare il lettore a proseguirla. Grazie a una scrittura tendenzialmente chiara e dettagliata ne può restare preso anche chi non ha solide conoscenze storiche.
Quanto alla prospettiva, il romanzo è composto da un gioco di punti di vista che non lascia indifferenti. Francesca Melandri dà spazio infatti alle posizioni di tutti i personaggi coinvolti. Il lettore ha così modo di confrontarsi con la prospettiva di un’insegnante romana, con quella di un ragazzo dalla pelle scura che ha lasciato il suo paese e la sua famiglia per sfuggire alla morte, e con quella di Attilio Profeti, un uomo fortunato, padre di quattro (anzi cinque) figli e custode di tanti segreti. Questo contrasto di voci e di vite non è soltanto una caratteristica interessante del romanzo, ma esprime anche una precisa idea della società contemporanea. È proprio questa la ragione per cui Sangue giusto è un romanzo molto attuale: si confronta senza preconcetti con la nozione di famiglia e con i problemi dell’immigrazione e del razzismo. Dà inoltre al lettore non solo la possibilità di immergersi nel passato recente da prospettive diverse e quindi di capire meglio la situazione politica e culturale attuale, ma permette anche di riflettere, più in generale, sul concetto di diversità. «E questa implacabile centralità del proprio punto di vista per ognuno, […], era la condizione base dell’esistenza di tutti. (p. 224)»
Ilaria ci pensa spesso:

Perché per qualsiasi altro essere umano la realtà in cui vive, più o meno compatibile con quella degli altri, non è la stessa. […] Il centro del mondo di ognuno è quel punto in mezzo ai suoi occhi, alla radice del suo naso e questo vale per tutti, […]. (p. 225)

Solo una cosa è chiara a Ilaria: lei non lo potrà mai sapere. Se la maggior parte dell’esistenza degli altri si svolge là, in quel luogo in mezzo ai loro occhi che, per ognuno, è il centro del suo Universo, lei che ne sa? Niente. E va bene così. (p. 225)

Quella citata è una constatazione importante per i singoli personaggi nel contesto del romanzo, come pure per la collettività fuori dal contesto narrativo: lo è per Ilaria che riesce in questo modo a capire meglio il suo rapporto amoroso con Piero, per suo nipote che riesce a farle capire perché il tempo per gli immigrati scorre diversamente, per Abeba che legge il Manifesto della Razza e per Attilio Profeti che pensa soltanto a vincere la Gara. Principalmente però queste parole arrivano come un messaggio forte e fondamentale per i lettori: la diversità è qualcosa di comune a tutti. «E va bene così.»