Giorgio Fontana: Prima di noi
Palermo: Sellerio 2020, 896 pp., Euro 22,00
ISBN: 978-8-83894-022-4

· Jacopo Mancabelli ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-F44E-F

La nuova fatica di Giorgio Fontana – già Premio Campiello – il romanzo familiare Prima di noi, pubblicato nel 2020 e insignito del Premio Bagutta e del Premio Mondello 2021, ha riscosso una meritata e generosa approvazione da Marco Missiroli («Si parla tanto del Grande Romanzo Americano. E quello italiano? Un grande romanzo l’ha scritto Giorgio Fontana. Eccolo») e Claudia Durastanti («Questo romanzo è come un proiettile che entra nel Novecento italiano […] trasformando il lettore, dopo essergli entrato nella testa quanto nel cuore»)1 il cui giudizio è in sé una garanzia.

Il libro, pubblicato da Sellerio, di primo acchito intimorisce per la sua mole: quasi novecento pagine, una lunghezza a cui il romanzo contemporaneo ci ha disabituati. Ciò rispecchia l’ambizione dell’autore di percorrere un secolo tramite quattro generazioni della famiglia Sartori: dal 1917 al 2012, ispirato liberamente alle memorie del bisnonno e del nonno di Fontana, a cui il libro è dedicato (non sfugga il particolare: il nonno ha vissuto dal 1919 al 2014). Il rapporto con chi è venuto prima di noi, già chiaro con i versi della terza Elegia Duinese di Rilke (vv. 69–75, cit. Fontanta: Prima di noi, esergo), ritorna sempre con nuove sfaccettature nel romanzo, che offre una continua e stupenda riflessione sul rapporto fra generazioni (comprese quelle scomparse).

Il capostipite della famiglia, Maurizio Sartori, è un disertore dopo la disfatta di Caporetto, che si rifugia in un casolare di campagna di povera gente per scappare e finisce per innamorarsi di Nadia, figlia del padrone del casolare. Maurizio è una figura riuscitissima: pur ispirando poca simpatia, irretisce con la sua taciturna cupio dissolvi, una sorta di male di vivere, una pulsione di morte da cui lo salva – in parte – Nadia con una frase semplice e dolce: «Troviamo il modo di volerci bene, biondino?» (p. es. pagg. 58, 60, 72) Dall’unione nascono tre figli: Gabriele, Domenico e Renzo.

La famiglia si trasferisce a Udine durante il fascismo, che provoca non pochi problemi a Maurizio, la cui natura scettica e pessimista mal s’intona con la retorica imperante. Tramite i tre figli il lettore vive la guerra da vari punti di vista: la campagna d’Africa, la prigionia, le lotte partigiane, la clandestinità. Pagine di grande intensità (pag. 260 «Il fine nostro è la felicità. Prima il pane, poi la libertà, e infine la cosa più importante: la felicità ») che ricordano il Vittorini di Uomini e no, ma anche la colpa di essere sopravvissuto a persone migliori (come in Levi) e quella di non aver preso parte ai combattimenti (come in Pavese).

Seguendo Renzo e Gabriele si racconta il clima del boom economico a Milano, nelle cui vicinanze si trasferiscono i due Sartori, uno come operaio (comunista) e l’altro (cattolico) come insegnante con velleità di poeta. Entrambi mettono su famiglia. La terza generazione (Eloisa, Davide, Diana e Libero) accompagna il lettore nelle lotte degli anni Settanta, fra anarchici, radicali, cattolici; nei dibattiti infuocati, un po’ dogmatici, delle e dei giovani che volevano cambiare il mondo, ognuno con una strategia diversa, e che alla fine dovranno appurare che il mondo è sempre più forte. Riflessioni per lo più disincantate accompagnano le loro vite non facili, fra certezze perse e un’analisi degli eventi che non è mai conclusiva e per questo affascinante.

Ma i fatti tornano alla ribalta: la guerra fra Stato e mafia, l’attentato spaventoso di Capaci, l’ascesa del berlusconismo, non come fatto politico ma sociale e culturale, fino alla guerra nell’ex Jugoslavia vedono passare il testimone agli ultimi due Sartori, Dario e Letizia. A loro spetta condurci negli anni Duemila, nei turbamenti della crisi che rende un’intera generazione precaria.

La famiglia si riunisce dopo anni per il funerale di Gabriele: Letizia prende in eredità il segreto di famiglia, le sue idiosincrasie e ansie, che si tramandano di generazione in generazione.

Il grande pregio del romanzo, a suo modo unico, è riuscire a raccontare la storia tramite la gente: i Sartori, una famiglia come tante altre, non con la pretesa (impossibile) di essere esaustivo, ma con il merito di percorrere fatti e scolpirli nella mente del lettore meglio di qualsiasi libro di storia. Sono le persone e non le date e i numeri al centro, persone che per lo più subiscono e non governano la Storia. Le parti in cui si divide sono diverse e diversamente riuscite: superlativa la parte iniziale, fino al Dopoguerra; un po’ stanca e ripetitiva quella centrale (volendo raccontare quasi tutto, a volte diventa un po’ troppo); molto riuscita quella finale sulla crisi di un’intera generazione.

Lo stile è leggibile, asciutto, scorre bene: uno stile da cronaca, diario o saggio divulgativo, modesto ma efficace, molto calibrato. La lingua non è protagonista del romanzo, ma si mette al servizio della narrazione (e diversamente stonerebbe).

Insomma, anche se ridimensionerei i giudizi di Claudia Durastanti e Marco Missiroli, che creano aspettative molto alte, il romanzo è di ottima forgia e rappresenta davvero un tentativo unico e riuscito: raccontarci la storia tramite persone non protagoniste, in cui si riconoscono le difficoltà e le preoccupazioni comuni, ma non banali.

  1. https://sellerio.it/it/catalogo/Prima-Noi/Fontana/12243