L’esperienza teatrale, una risorsa per incorporare la parola

· Sara Maddalena ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-DA52-7

Apprendere la lingua attraverso il teatro è un metodo ormai ufficialmente riconosciuto e sostenuto anche nell’ambito dei programmi europei di insegnamento delle lingue straniere1, in accordo con l’intento di ricerca di metodologie didattiche che sappiano valorizzare e coniugare tutti gli aspetti dell’apprendimento, non escluso quello affettivo ed emozionale. Troppo spesso, infatti, si privilegia lo studio della grammatica in modo passivo e si sottovaluta l’importanza dell’avere un ruolo attivo nel processo di studio della lingua, e la conseguente maggiore motivazione che ciò può apportare allo studente. Grazie alla mia esperienza come insegnante di teatro – in laboratori di teatro in italiano in Francia – ho potuto verificare personalmente come il teatro offra appunto la possibilità di attivare aspetti emotivi e sensoriali e quindi di facilitare il potenziamento delle capacità espressive.

I vantaggi dell’utilizzo del teatro come metodo di apprendimento della lingua

Quali sono dunque nello specifico i vantaggi propri all’utilizzo del teatro come metodo per l’apprendimento della lingua? Eccone alcuni che ho potuto riscontrare durante la mia attività:

  • Per mezzo del gioco teatrale è possibile migliorare pronuncia, dizione, intonazione, arricchire il lessico;
  • considerare l’altro, decentrarsi e consolidare la relazione interattiva con gli altri vincendo la timidezza e la paura di non saper parlare bene;
  • gestire le emozioni e il corpo, identificare i codici verbali e gestuali tipici della lingua che si studia, al fine di utilizzarli opportunamente nelle diverse situazioni;
  • esprimersi liberamente, sperimentare, uscire dal quotidiano, dalle abitudini e aprirsi all’altro e a un’altra cultura;
  • uscire dal quadro della classe o del corso di italiano e diventare una sorta di compagnia di teatro;
  • sviluppare l’immaginazione e la creatività, in una situazione di comunicazione autentica in cui imparare diventa più facile, divertente e motivante;
  • portare la parola in azione e farne vivere concretamente il suono nel suo significato e nella sua intenzione, anche fisica: l’espressione verbale diviene corporea.

Le suddette funzioni sono particolarmente importanti in questo periodo in cui giovani e adulti sono purtroppo condizionati da un immaginario imposto dalla tecnologia, da illusioni preconfezionate e dalla virtualità della comunicazione e delle relazioni.
La funzione dell’educazione è anche quella di dare importanza all’espressione dell’individuo nella sua complessità soggettiva, fisica, verbale, psichica e affettiva, in un contesto reale, concreto. E l’insegnamento linguistico per mezzo del teatro provoca appunto reazioni fisiche, emotive, cognitive, attiva la memoria consentendo il recupero di parole e espressioni difficili, facilita e sviluppa la capacità di narrare eventi, esperienze, aiuta gli studenti a costruire relazioni significative con gli altri. Del resto, come sostiene Nofri, l’esperienza della recitazione teatrale e quella dell’apprendimento linguistico, soprattutto negli stadi iniziali, hanno molti punti in comune.2
Inoltre, come ho potuto riscontrare – soprattutto nei laboratori con ragazzi tra i dodici e i vent’anni – tanto più le persone presentano delle fragilità, «più diventa loro difficile lavorare la lingua, che sembra essere nemica, pericolosa e inaccessibile, estranea»3.
Ma per capire il mondo e integrarsi il linguaggio è fondamentale. La possibilità di lavorare con un copione e un interlocutore attento, che sia un compagno o il pubblico, permette di sentirsi in sicurezza e imparare a esprimersi, dialogare e scambiare idee, e questo è particolarmente importante in una società dove invece spesso si ha paura di parlare, di dire qualcosa di sbagliato, o si sa di non essere realmente ascoltati. Il teatro ha una funzione di socializzazione4, aiuta a superare la timidezza che accompagna l’esprimersi in una nuova lingua, e diventa un luogo ove è possibile avere a disposizione le parole giuste, dette da un personaggio che è altro da sé, e della cui opportunità e accettabilità non è necessario rispondere: ciò permette di rimuovere i blocchi, interagire, alla scoperta di un’identità e sensibilità individuale e collettiva resa comune attraverso un lavoro sul corpo e la parola.
Il lavoro teatrale serve a risvegliare da un lato l’immaginazione, la creatività, dall’altro la consapevolezza di sé: è un territorio di sperimentazione dove si può liberare la propria creatività, del resto è «luogo e modo di rappresentazione come invenzione e non solo come imitazione […] mette in scena i fantasmi dell’alterità intima o essenziale che senza teatro resterebbe imponente ma invisibile, determinante ma intoccabile»5, è lo spazio «in cui supposizioni desideri, ipotesi, diventano tutti legittimi»6.
Il laboratorio di teatro in una lingua straniera, a mio avviso, deve essere quindi un luogo dove sono ammessi gli errori e l’ignoranza: non si deve aver paura di sbagliare, una certa temerarietà nel tentare una comunicazione pur se non perfetta, deve essere incoraggiata. Ciò permette di non avere paura degli altri e di imparare ad accettare con serenità le critiche, anzi a sollecitarle addirittura, attraverso l’autoironia, in un clima di gioco e distensione. E questo è fondamentale per l’apprendimento di una lingua straniera. È piacevole constatare come emergano doti ignorate in ragazzi magari non particolarmente brillanti negli studi, grazie a un’impresa in cui tutti sono egualmente coinvolti, necessari, in ogni aspetto del lavoro, e alla valorizzazione delle specifiche attitudini e capacità di ciascuno: un lavoro collettivo continuamente in crescita che guarda in modo costruttivo al proprio sviluppo perché, come ricorda Tonino Conte,

nel teatro il dialogo continuo e il confronto sono il lievito indispensabile alla riuscita del prodotto finale. Lo spettacolo teatrale cresce e vive organicamente, come una pianta, sensibile al clima, agli umori dei vari componenti del gruppo e in grado di modificarsi continuamente nel suo divenire: una crescita che non si arresta il giorno del debutto, ma può anzi continuare fino all’ultima replica.7

‒ una scoperta che non ha fine e che invoglia a proseguire l’interazione, con la lingua e con il pubblico.
Si deve però ricordare che le regole del palcoscenico non sono quelle della vita e della scuola ma sono comunque sempre delle regole, e va dunque rispettata la grammatica della scena. L’attività teatrale permette quindi un gradevole compromesso tra spontaneità e disciplina.
Si potrebbe pensare che in questo genere di laboratori di teatro per l’apprendimento di una lingua straniera il testo sia centrale, protagonista quasi assoluto, e la gran parte del lavoro verta sullo studio del copione, ma personalmente ritengo imprescindibile il ruolo svolto dal lavoro sul corpo. Perché il corpo è così importante? Perché il suo coinvolgimento è essenziale per incarnare la parola? Mejerchol’d sosteneva che «per mettere in scena una qualsivoglia opera teatrale occorrono diversi materiali. Il più importante fra di essi è il corpo umano»8 e ancora «il movimento è lo strumento più efficace per creare rappresentazioni artistiche»9.
Il teatro è infatti notoriamente rappresentazione per azioni, ma non bisogna dimenticare che anche il linguaggio non è immateriale, è anch’esso corpo. Senza andare qui a scomodare le teorie sul rapporto tra linguaggio e corpo quali quelle steineriane sull’euritmia e simili, basti pensare a questo poetico frammento di Barthes: «Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole.»10
La lingua in quanto elemento del reale e materiale poetico è dunque in ascolto e in contatto con i cambiamenti e i movimenti interiori della carne11 e permette di chiamare, nominare ciò che è apparentemente disincarnato12, infatti non si può parlare senza corpo: l’oralità stessa è movimento della parola, modo di partecipazione del corpo nell’attività del linguaggio.13 Gli studenti/attori mettono il proprio corpo al servizio del testo per trasformarlo in verbo teatrale, il corpo è coinvolto e l’espressione corporea promossa.14 L’esteriorità del corpo ha un accesso molto ampio alla comunicazione, ma nel laboratorio si impara a comprendere che il corpo non è quello di tutti i giorni, con cui si è giudicati e classificati, quella sorta di impresa da dirigere al meglio in accordo al contemporaneo senso dell’estetica15, bensì uno strumento prezioso, fonte di conoscenza, mezzo per trasmetterla ed entrare in relazione con gli altri. Del resto è proprio quando riflettiamo sul corpo in azione che prendiamo coscienza dell’importanza delle potenzialità e capacità corporali, nella concezione che abbiamo della nostra corporeità e di quella degli altri.16 Il corpo è il primo testo dove si scrive l’esperienza, in cui si disegna la trama della esistenza, lui stesso universo semantico che contiene ciò che si nasconde nella carne, e che possiede una memoria propria. Si deve quindi favorire una circolazione dialogica della carne e delle parole, un io carnale.17 La parola interiore prima di esserlo prende questo cammino di carne perché sono in situazione di interfaccia, come dichiara Cassirer il cuore che pensa e la lingua che parla sono necessariamente legate.18
E certamente la lingua coinvolta in questo processo ha una grande importanza, basti pensare al diverso immaginario e alla diversa percezione sensoriale che può creare il diverso genere dei vocaboli (per esempio «il mare», maschile in italiano, femminile in francese, «il sole», femminile in tedesco e maschile in italiano, ecc.), le differenze che derivano dal tipo di costruzione della frase, e le relative conseguenze sul ritmo e sul respiro. Ed è per questo che il coinvolgimento attivo del corpo in azione, nell’apprendimento della lingua straniera, è fondamentale, invero, come scrive Merleau-Ponty, la predominanza di vocali in una lingua, di consonanti in un’altra, i sistemi di costruzione e di sintassi non rappresentano convenzioni arbitrarie per esprimere lo stesso pensiero, ma diversi modi del corpo umano di celebrare il mondo, di viverlo.19 Anche Orazio Costa, durante le sue lezioni di teatro, si è espresso sull’argomento:

Non avete capito drammaturgicamente il colpo di scena che porta la parola ‹ora›, ‹il mare, al buio›: già qui se ci pensate, c’è un enorme teatro, il teatro che nella nostra lingua fanno le vocali. ‹A, E, U…› non sono già tre personaggi?20

L’adattamento naturale del parlare alla mimica esiste nel modo assolutamente naturale, per cui vi accorgerete, nel leggere, che ogni parola porta un suo peso, o se può più o meno variare, secondo che la parola sia media di significati, sia che sia invece guarnita, ad esempio non potrò dire con voce leggerissima ‹peso di piombo› però se dico ‹altezza› può essere sia un’altezza grande che piccola, perciò se è riferito a una montagna sarà ‹altaaah!› Ma se si tratta di una collina non si può dire ‹altaaah!›. [...] Spesso la struttura della lingua ci aiuta a riconoscere questa consistenza; per esempio la parola ‹tronco› è una parola che in sé si presta a essere detta con una certa solennità: ‹tronco› è differente da ‹stelo›, ‹tronco› non è riconducibile ad una leggerezza anche perché istintivamente uno non direbbe ‹il tronco del bambù› perché, almeno nei nostri climi il bambù ha al massimo il diametro di un dito. Però se diciamo ‹tubo› esso può essere di carta, di plastica, di ferro, e sentire le differenze perché la parola, non essendo così solida come ‹tronco›, quando andate a leggerla vedrete che assumerà un suo peso che è proprio quello della mimica spontanea; si può aggravare fino allo scherzo o si può alleggerire fino all’equivoco21,

La poesia è ancora prima di leggerla, un invito a respirarla, realizzarla come spirito mimico22

Voi dovete sapere di ‹essere› questa poesia […] danziamo la nostra realtà mimicamente e la sentiamo come realtà in cui noi siamo i ‹sensori›.23

Inoltre il nostro esistere dipende dalle interazioni con ciò che ci circonda, pertanto favorire un approccio tattile, materico, alla parola e all’azione aiuta ad affinare la percezione e riscoprire la realtà, a ridare concretezza anche al proprio essere e stare al mondo. Interessante a questo proposito la divertente e originale riflessione contenuta in L’uomo che andò in America di Dino Buzzati:

PAOLA — Come se?…
SCHIASSI (meditabondo) — Come se io fossi, tu fossi, egli fosse, noi fossimo. (Pausa) Che brutta parola fossimo. Non trovi, Leontina?
LEONTINA — Orrenda!
SCHIASSI (amareggiato) — Fossimo, fossimo… che schifo di predicato verbale. Già: per me non c'è niente di meglio dei sostantivi così duri, solidi, ci si può perfino sedere sopra.
LEONTINA — Farci la siesta anche, quando si è stanchi.
SCHIASSI — Mentre i verbi, pfui, come molluschi! Non stanno mai fermi, (Meditando con disgusto) Fossimo... fossimo... Pensate invece non so io... non so... Alabarda, per esempio... O abigeato.
LEONTINA (con rapimento) — Oh, abigeato!
SCHIASSI — Ascolti che bello. (Scandendo lentamente) Abigeato nel Caltagironese!
SEMINARA — A me piace pastorizzazione, mi è sempre piaciuto... fin da bambino.
PAOLA — Maiale!
SCHIASSI — Certo, i sostantivi! Eh, i sostantivi. Quelli sì.
PAOLA — L'importante è tenerli belli puliti, io li lucido una mattina sì e una no.
SCHIASSI — I sostantivi? tutti?
PAOLA — No, quelli che adopero di solito, quelli che mi bastano per la giornata.24

E ancora, sulla necessaria concretezza della lingua in azione, Marco Baliani dichiara:

io credo che il narratore per poter far sì che un altro gli presti attenzione, cerchi di fargli rivivere la storia. Ma mentre cerca di farla rivivere a un altro, lui stesso la rivive, la sta rifacendo accadere […] sono infiniti i modi coi quali possiamo dire qualcosa a qualcuno. Ma, per narrare, dobbiamo agire concretamente. Ci terrei molto che voi percepiste questa necessità che è un fare del corpo25

Il teatro rende quindi possibile condividere attivamente ciò che la lingua vuole esprime con una partecipazione che non è rappresentazione bensì totale coinvolgimento del corpo e della parola. Per descrivere quanto sopra brevemente teorizzato, parlerò ora di qualche esperienza personale in merito all’insegnamento della lingua italiana attraverso il teatro.

La mia esperienza quale insegnante di teatro e lingua italiana, in laboratori di teatro per l’apprendimento della lingua italiana attraverso il teatro: qualche traccia di lavoro

Sono un’attrice e regista di teatro professionista, pertanto ho fatto tesoro della mia formazione pratica nel progettare i laboratori di teatro in italiano per l’apprendimento della lingua italiana attraverso il teatro. Ecco dunque come ho organizzato il lavoro:

  • Scelta del testo, italiano, ed eventuale adattamento;
  • studio e comprensione del testo con gli studenti (contesto storico, letterario, sociale);
  • esercizi di teatro (equilibrio, concentrazione, biomeccanica, occupazione cosciente dello spazio, lancio della battuta, basi di tecniche teatrali);
  • improvvisazione in italiano, libera o intorno al testo;
  • lavoro sulla pronuncia corretta e la dizione, articolazione dei suoni, intonazione (alla scoperta delle parole e del gusto di enunciarle);
  • preparazione dello spettacolo e regia.

Più in particolare ho diviso il laboratorio, in generale della durata di 2 ore ogni sessione, in più parti:

  1. 15 min – Esercizi di rilassamento con la musica (per entrare nella sacralità del lavoro teatrale, lasciando fuori tutto il resto), esercizi sulla respirazione, la coordinazione, la voce e sul corpo (equilibrio, scioglimento delle tensioni, ecc.) e in seguito esercizi a due (sul corpo dell’altro) volti a implementare tanto la confidenza quanto la responsabilità tra i partecipanti del gruppo (la musica scelta è preferibilmente italiana, il che permette di acquisire le sonorità della lingua in un momento piacevole)
  2. 30 min – Esercizi in cui si comincia ad associare delle parole in lingua italiana, molto semplici, ad altre azioni o gesti. Per esempio: camminata nello spazio associata a numerazione o a gioco di memorizzazione delle parole in ordine alfabetico, lancio di una parola e contemporaneamente una palla per imparare a «lanciare o ricevere la battuta» in modo preciso e attento. Quindi lavoro su azioni per sperimentare il verbo, per muoversi in accordo con le parole, quasi un riferimento al hataraki, al modo di usare il corpo per cui l’attore dovrebbe muoversi in accordo con le parole: alla parola vedere, guardare verso qualcosa, alle parole puntare o ritirare, tendere la mano o ritirarla.26 Associare ad una parola o una breve frase a un gesto del corpo crea così una partizione, una coreografia, che aiuta molto a memorizzare le parole attraverso una meccanicità dell’azione che crea automatismo attraverso la ripetizione. È utile eseguire lo stesso movimento riferito ad azioni diverse, così come utilizzare diverse modalità di movimento riferite ad una stessa azione.27 La poesia si è rivelata molto opportuna in questa fase. E il fatto di concentrarsi sul corpo lascia maggiore libertà rispetto a un contesto che chiede una mera memorizzazione dei termini, che invece per alcuni studenti costituisce un blocco. Successivamente sempre lavorando su gesti e azioni, si sperimenta l’opposizione, il contrasto, il contrario, e si associa il tutto al ritmo. Ritmo è fondamentale per lo spettacolo, per la lettura del testo, per la progressione della parola, ritmo che è movimento della parola nel linguaggio e – come direbbe Meschonnic – in contrapposizione al ritmo inteso come mera alternanza formale tra il medesimo e il differente28: la parola scritta, segno statico, che si sviluppa solo nello spazio, diviene ritmo, dinamica, che si sviluppa nel tempo; e attraverso la ripetizione e la molteplicità si arriva all’integrazione del discorso del corpo nella voce e viceversa. È interessante inoltre, relativamente alla lingua italiana, in una fase più avanzata, lavorare con i gesti propri alla mimica che notoriamente è parte integrante della comunicazione, peraltro come ricorda Baliani,

    la nostra lingua non è una lingua precisa, è una lingua molto sonora e poetica, molto erratica, un po’ tutte le lingue del Mediterraneo sono così. Noi mentre diciamo una parola, comunichiamo cose diverse da quelle che stiamo dicendo, perché accompagniamo le parole con dei gesti, con una mimica, che non dicono quello che le parole significano.29

  3. 30 min – Improvvisazione in italiano, in tre fasi:
    • Un dialogo molto semplice in gruppi di due o tre, cominciare da parole che possono essere simili in tutte le lingue e utilizzando parole o espressioni basilari, che io stessa fornisco, ma di cui si sperimentano i diversi modi di interpretarle, secondo le situazioni: l’intenzione e l’espressività giocano un ruolo importante, gli studenti possono dare ad un semplice «buongiorno» i più svariati significati scoprendo tutte le possibilità che quel suono permette.
    • improvvisazione su situazioni di fantasia;
    • improvvisazione su situazioni presenti nello spettacolo, con il lessico e i riferimenti del testo.
      L’improvvisazione è molto importante perché permette di liberarsi completamente rispetto alla paura di non saper parlare bene: la ricerca di termini è difficile inizialmente, ma lo sforzo che viene fatto quando si è calati nel proprio ruolo, per far procedere l’azione, è molto più intenso e produttivo rispetto a quello che potrebbe essere fatto in un qualsiasi esercizio grammaticale. Le soluzioni inoltre spesso inaspettate innescano momenti divertenti che invogliano a continuare. Risulta chiaro quindi quanto sia importante la dimensione ludica: divertirsi permette di aprirsi all’esperienza e all’altro. Come dichiarato da alcuni dei miei studenti, in una lingua straniera ci si può permettere quello che nella propria lingua non si avrebbe mai il coraggio di dire e fare: «In questo spazio si parla in italiano: non avrei il coraggio di recitare nella mia lingua, ma qui, qui posso essere me stesso ed esprimermi: per me l’italiano è diventata la lingua della liberazione.»
      La lingua straniera agisce come una sorta di maschera dietro cui nascondersi e che nel contempo amplifica il sentire, e il corpo la asseconda e dice quello che le parole non riescono a comunicare, arrivando così ad un risultato completo di comunicazione efficace. Peraltro ho constatato come, lavorando sul testo da mettere in scena, gli studenti facciano proprie delle parole che, anche se difficili, diventano irrinunciabili e prendono gusto a utilizzarle, giocandoci durante l’improvvisazione e sovente anche al di fuori del contesto del laboratorio.
  4. 45  min – Analisi del testo e prove finalizzate allo spettacolo, previo approfondimento sulla corretta dizione delle parole senza però dimenticare quanto sostiene Gabriel Vacis,

    «è noto come l’italiano sia una lingua ‹inventata› da un gruppo di intellettuali, ma che non esisteva nella realtà di tutti i giorni. L’italiano non esiste, esiste lo specifico modo di parlarlo a seconda di dove si è nati e delle scuole che si sono fatte. La dizione non dovrebbe risultare appiccicata e artificiale. Il parlare dovrebbe essere sempre un atto reale, organico, concreto, personale30,

    nonché insegnamento di alcuni rudimenti delle ‹tecniche dell’attore› (Mejerchol’d, Cechov, Stanislavskij, ecc.).

Ho applicato in vari laboratori questo mio personale ‹metodo›, con risultati decisamente soddisfacenti, in particolare in due progetti universitari voluti dalla docente Angela Biancofiore, e nei laboratori tenuti per la Società Dante Alighieri, sedi di Montpellier e di Sète:

Non si paga, non si paga! On ne paie pas, on ne paie pas! Spettacolo teatrale messo in scena, a partire dalla pièce di Dario Fo.31
Nonostante la difficoltà lessicale del testo di Fo e l’esiguo numero di lezioni a disposizione, i ragazzi di Università e Liceo hanno lavorato bene, impegnandosi a fondo. La tematica sociale di grande attualità, la comicità innata del testo, il piacere di interagire, giocare con gli oggetti come con le parole, materia viva, e un grande lavoro sul corpo e sul ritmo, hanno sicuramente indotto gli studenti a una partecipazione attiva e dinamica. Del resto come dice lo stesso Dario Fo «al mio corpo debbo molto. È stato uno strumento di lavoro prezioso, indispensabile. Uno strumento fedele, che non mi ha mai tradito.»32
Anche alcuni studenti che per ragioni diverse e personali avevano delle reticenze a salire sul palcoscenico, hanno comunque dato il loro prezioso apporto allo spettacolo e si sono occupati, per esempio, di una parte recitata con le marionette appositamente ideata per loro, nonché dei costumi, della scena, delle luci, imparando i termini specifici in italiano che queste mansioni richiedono.
Durante il laboratorio la regola era cercare di parlare sempre italiano, peraltro l’interazione con persone madrelingua è importante per uscire dalla logica di apprendimento e sentirsi sicuri nel relazionarsi con persone provenienti dal paese di cui si sta imparando la lingua, in una situazione di parità e senza sentirsi stranieri.
Alla fine delle repliche la coesione tra i partecipanti era talmente forte che hanno parlato della possibilità di dar vita a una compagnia di teatro universitario. In italiano, ovviamente.

Soyons le changement, Spettacolo di letture33
Nonostante la lettura sia una prova non facile anche per attori professionisti e il corpo sia apparentemente meno coinvolto, e le lezioni siano state meno del previsto per cause non dipendenti dall’Università, gli studenti hanno lavorato molto seriamente sulla voce e sul gesto, reso meno evidente esteriormente ma egualmente intenso e necessario, con risultati spesso davvero emozionanti, in considerazione degli argomenti trattati che hanno saputo trasmettere con grande forza.

I colori della fandonia, 2017 (adattamento di un testo di Dino Buzzati), Verso il paese felice, 2018 (da testi di Pietro Gori, Grazia Deledda, Edmondo De Amicis, Italo Svevo), La città abbandonata, 2019 (adattamento del testo di Italo Calvino), L’impresario di Smirne, 2019 (dalla commedia di Carlo Goldoni) sono alcuni degli spettacoli su cui ho lavorato alla Società Dante Alighieri di Montpellier e di Sète. I partecipanti ai corsi hanno spesso caratteristiche molto diverse dagli studenti di Università e Liceo. Il livello di conoscenza della lingua di solito è già abbastanza buono, l’ambito non è scolastico e quindi sono di meno i timori iniziali nei confronti dell’insegnante, la paura del giudizio, i confronti con gli altri partecipanti del gruppo. La motivazione è forte e l’impegno molto serio, il divertimento onnipresente. I risultati sono sempre piacevolmente soddisfacenti.

L’impresario delle Smirne
L'impresario delle Smirne di Carlo Goldoni – Dante Alighieri di Montpellier (priv.)
I colori della fandonia
I colori della fandonia – Dante Alighieri di Montpellier (priv.)
Soyons le changement! Siamo il cambiamento!
Soyons le changement – Université Paul-Valéry de Montpellier (priv.)
Non si paga, non si paga!
Non si paga, non si paga! di Dario Fo – Université Paul-Valéry de Montpellier (priv.)

Conclusioni

I laboratori di teatro in italiano, così come potuto riscontrare grazie alla mia personale esperienza, danno la possibilità agli studenti di rimuovere i filtri emotivi all’apprendimento, acquisire una maggiore naturalezza e coscienza espressiva, memorizzare facilmente i termini arricchendo velocemente il vocabolario, imparare a gestire il corpo, sviluppare una più profonda consapevolezza dei registri linguistici più opportuni da utilizzare nei diversi contesti situazionali. Permettono inoltre di apprendere a considerare l’altro, che sia il compagno o il pubblico, di uscire dal proprio egocentrismo, di divertirsi, di esprimersi, di stimolare la capacità di comunicare globalmente utilizzando in modo adeguato codici verbali e non verbali, la gestualità. Consentono addirittura di adottare più spontaneamente la lingua studiata quale strumento di espressione di emozioni e sentimenti che normalmente sono appannaggio della lingua madre anche in presenza di livelli molto avanzati di competenza. Il teatro e la sua dimensione tanto ludica quanto rituale permette di trasformare l’artificiosa dinamica della classe scolastica nella più naturale e motivante dinamica della compagnia teatrale, gruppo fondato sul perseguimento di uno scopo collettivo condiviso e caratterizzato da un intenso scambio emotivo interpersonale e da un forte sentimento di appartenenza.

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  6. Victor Turner, Dal rito al teatro, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 100.
  7. Tonino Conte, Emanuele Luzzati, Facciamo insieme teatro, Bari, Editori Laterza, 2004, p. 11.
  8. Vsevolod Mejerchol’d, L’attore biomeccanico, Milano, Ubulibri, 2002, p. 57.
  9. Ibidem.
  10. Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Torino, Einaudi, 2001, p. 77.
  11. Vedi Michel Dumengeat, «L’étranger dans mon visage», in Le corps, la structure. Sémiotique et mise en scéne, Bordeaux, Pleine Page éditeur, 2004, p. 15.
  12. Vedi Paul Biot, op. cit., p. 42.
  13. Maïté Snauwaert, «Language du corps: une extension métaphorique?», in Le corps, la structure. Sémiotique et mise en scéne, Bordeaux, Pleine Page éditeur, 2004, p. 76.
  14. Paul Biot, op. cit., p.  25.
  15. David Le Breton, L’Adieu au corps, Paris, Editions Métailié, 1999, p. 2627.
  16. Catherine Garnier, Le corps rassemblé: pour une perspective interdisciplinaire et culturelle de la corporéité, Montréal, Éditions Agence d'Arc, 1991, p. 39.
  17. Adolfo Fernandez-Zoïla, La chair et les mots, Grenoble, La Pensée sauvage Editions, 1995, p. 102.
  18. Grazia Marchianò, La parola e la forma, Bari, Dedalo Libri, 1977, p. 82.
  19. Maurice Merleau-Ponty, Phénomenologie de la perception, Gallimard, 2017, p. 228.
  20. Michela Broggio, Orazio Costa, maestro di teatro, Roma, Bulzoni Editore, 2007, p.176.
  21. Ivi, p. 94.
  22. Ivi, p. 166.
  23. Ivi, p. 176.
  24. Dino Buzzati, L’uomo che andrà in America, Milano, Bietti, 1968, p. 60.
  25. Marco Baliani, «L’Arte di narrare», in La bottega dei narratori, Roma, Dino Audino Editore, 2005, pp. 51 e 55.
  26. Vedi anche Frank Hoff, «Zeami drammaturgo», in Il corpo scenico, Roma, Editoria & Spettacolo, 2008, p. 219.
  27. Vedi anche Nikolaj Karpov, Lezioni di movimento scenico, Corazzano, Titivillus, 2007, p. 55.
  28. Emilio Mattioli, L’etica del tradurre e altri scritti, Modena, Mucchi Editore, 2009, p. 24.
  29. Marco Baliani, op. cit., p. 50.
  30. Serena Senigallia, «Gabriele Vacis: il teatro è narrazione», in La bottega dei narratori, Roma, Dino Audino Editore, 2005, p. 115.
  31. Montpellier, marzo 2017 – Progetto IDEFI, Initiatives d’excellence en formations innovantes, Université Paul-Valéry, Montpellier3 in collaborazione con il Museo Archivio Laboratorio Dario Fo Franca Rame di Verona. Regia di Sara Maddalena, coordinazione di Angela Biancofiore (Professoressa del Dipartimento di Studi italiani all’Università Paul-Valéry), di Catherine Stavy-Gelly e Agnès Bessières (Professoresse di Italiano al Liceo Georges Pompidou di Castelnau-le-Lez), con il sostegno di Raffaella Fiorini (Lettrice di Italiano all’Università di Montpellier3) e la partecipazione degli studenti di Università e Liceo.
  32. Dario Fo, Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin, Milano, Guanda, 2016, p. 55.
  33. Testi di Erri de Luca, Andrea Bajani, Alessandro Leogrande, Laura Pugno, Christiana De Caldas Brito, Laila Wadia, Cosimo Argentina, Mauro Corona, Anselmo Botte, Evelina Santangelo, Dante Maffia, Dora Albanese, messo in scena nell’aprile 2018 a Montpellier. Progetto IDEFI UM3D Initiatives d’excellence en formations innovantes, Université Paul-Valéry, Montpellier  3. Regia di Sara Maddalena, coordinazione del progetto di Angela Biancofiore (Professoressa del Dipartimento di Studi italiani all’Università Paul-Valéry Montpellier3) ed Edmée Strauch (Professoressa di Italiano del Liceo Joffre) con il sostegno di Bruna Monaco (docente di lingua italiana).