L’invenzione dell’autore. Privilegi di stampa nella Venezia del Rinascimento, a cura di S. Minuzzi. Venezia: Marsilio 2016.
ISBN 978-88-317-2695, pp. 109.

· Rudj Gorian ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-CA9B-7

Questo lavoro curato da Sabrina Minuzzi risulta utile e stimolante precipuamente in rapporto a tre argomenti: il concetto di autore, la storia del libro e la politica com­merciale-protezionistica della Repubblica di Venezia. Il perno dell’opera risiede nello studio dell’urgenza, sentita da tutta una serie di professionisti che popolavano la vita economica e culturale del Cinquecento italiano, di richiedere alle autorità della Serenis­sima e di altri stati della penisola italiana forme di tutela su produzione, usufrutto e vendita dei prodotti del proprio ingegno e delle proprie abilità. Nel caso delle suppliche che qui sono state studiate le richieste di protezione erano in primo luogo finalizzate all’ottenimento dell’esclusiva di dare alle stampe libri, opuscoli o fogli volanti che de­scrivevano la prassi o il bene inventato, oppure il cui valore risiedeva esclusivamente nei testi stampati: letterari, tecnici o scientifici. Parafrasando i titoli dei capitoli del vo­lumetto, vediamo che la curatrice si sofferma sull’operato di professionisti come l’agrimensore e l’impiegato alla Camera dei prestiti della Repubblica di Venezia, come il matematico-astrologo (astronomo), il medico e il calligrafo, senza scordare l’agro­nomo, l’ingegnere, l’incisore (artista) e il letterato. Il concetto di autore, quindi, non è qui considerato in un’accezione precipuamente letteraria del termine, bensì come un generico riferimento a chi è inventore «di qualche cosa novella» (espressione di Gio­vanni Battista Carello datata 1555: v. a p. 9). Le fonti utilizzate dalla curatrice sono le filze della serie Senato Terra – Deliberazioni, conservate presso l’Archivio di Stato di Venezia.

Nel XVI secolo il significato di autore, se abbinato al concetto astratto di proprietà ‹immateriale›, è ancora assai vago e saldamente ancorato in un contesto giuridico-politico-economico molto diverso da quello che avrebbe caratterizzato la realtà sociale, industriale e commerciale a partire soprattutto dal XIX secolo. Ciò che veniva inventa­to, una volta disseminato sul territorio, era quasi sistematicamente oggetto di quello che oggi chiameremmo plagio, contraffazione, riproduzione e commercializzazione ille­gale, mentre l’invenzione stessa poteva essere spesso e impunemente deformata, mo­dificata e riproposta in altre forme (ora restando nominalmente legata al nome dell’au­tore, perlopiù impotente davanti alla sorte cui andava incontro il frutto del proprio ingegno, ora venendo accostata ad una paternità differente). Per tentare di arginare il danno gli autori-inventori (ma, a volte, anche i contraffattori!) potevano richiedere alle autorità di uno o più stati (singolarmente) un’esclusiva di godimento del frutto del­la propria creazione, utile anche semplicemente per evitare che altri la mettessero in produzione, privative che i governi sovente concedevano, soprattutto se le casse dello Stato potevano sperare di trarne dei vantaggi economici. La Repubblica di Venezia fu, in tal senso, particolarmente attenta e oculata nell’accordare privilegi di varia natura.

Le richieste di privilegio erano formulate con grande attenzione e cercando di otti­mizzare gli effetti delle auspicate privative, sebbene non sempre le suppliche fossero accolte con favore dalle autorità. Peraltro, i privilegi non duravano per sempre ed era quindi frequente che i titolari delle privative, dopo alcuni anni, si prodigassero per ottenere il rinnovo delle stesse, non scontato, mentre la necessità di rispettare le sca­denze temporali che delimitavano la valenza dell’esclusiva costringeva spesso i pro­duttori di un dato bene, in questo caso la carta stampata, a lavorare in gran fretta: era infatti necessario riuscire effettivamente a realizzarlo e a immetterlo sul mercato prima che la scadenza della privativa rendesse l’invenzione, inizialmente protetta, un materiale di libera produzione e vendita (non mancano, però, i casi dei privilegi di stampa ottenuti ma non utilizzati effettivamente: un esempio ricordato dalla curatrice è quello per la stampa delle opere musicali di Lorenzo Alessandri, rimaste manoscritte). Ciò non toglie che i tratti dell’autore, per quanto disegnati ancora in modo pallido nei loro risvolti giuridici e commerciali, assumano un aspetto più forte se vengono osser­vati sullo sfondo di una realtà sociale in cui il godimento dei frutti del proprio ingegno o della propria creatività diventava, prima che un modo per consolidare e mantenere la propria fama artistico-letteraria, un mezzo quanto mai concreto per tentare di migliora­re le condizioni di vita proprie e della propria famiglia, anche per più generazioni.

Passando ora a dar conto delle vicende di autori e inventori menzionati nel volu­metto, ci soffermiamo innanzitutto sulla curiosa figura di Giovanni Antonio Fineo che, nel 1593, diede alle stampe a Roma due opere che illustravano metodi di sua invenzio­ne per la conservazione dei vini. La pubblicazione effettiva di questo lavoro venne però intrapresa solo dopo che l’autore ebbe ottenuto, dai governi di diversi stati della pe­nisola italiana, l’esclusiva della produzione di un’anfora, inventata dallo stesso Fineo, progettata per la conservazione del vino e descritta nell’opera stampata. In questo modo, la stampa della descrizione del contenitore non avrebbe consentito a possibili plagiari di produrre a loro volta le anfore, se non contravvenendo alle privative. Ma Fineo, intanto, aveva saputo utilizzare le potenzialità pubblicitarie della stampa per en­fatizzare e, probabilmente, per esagerare il potere di conservazione del vino peculiare della sua invenzione, indicato in 2 anni nelle suppliche alle autorità ed ora lievitato fino a raggiungere i 100 anni.

Relativamente alla pratica manuale della scrittura è evidente come si adattasse bene ad essere tutelata stampando i modelli calligrafici che si volevano proteggere: è il caso di Un novo modo d’insegnar a scrivere et formare lettere di più sorti (Venezia, 1548) del maestro di calligrafia Vespasiano Amphiareo, inventore di un nuovo modo di tracciare le lettere. Viene data evidenza anche ai privilegi richiesti per manuali per la misurazione del valore dei terreni e dei prezzi delle merci, come i lavori di Giovan­ni detto Rizzo Gentilino oppure di Giovanni Mariani, o, ancora, al fortunato manuale Le dieci giornate della vera agricoltura, e piaceri della villa di Agostino Gallo, più volte stampato a Venezia, protetto da privativa, quando l’appassionato autore era in vi­ta e, poi, passato sotto il torchio «in Italia una quarantina di volte fino al 1775» (p. 88), oltre che tradotto in francese. Non era mancato chi si fosse prodigato per difendere il contenuto non di libri, ma di fogli volanti incisi, generalmente più facili da riprodurre e contraffare rispetto a libri e opuscoli (specialmente se si prescinde dalla qualità arti­stica dei prodotti): è il caso del medico Andrea Bacci, che aveva ottenuto a Roma e a Ve­nezia la privativa per una complessa e affascinante tavola testuale e iconografica ad uso didattico intitolata Ordo universi et humanarum scientiarum prima monumenta (1581), oggi nota in copia unica.

I privilegi potevano essere richiesti, oltre che dall’inventore, dagli eredi dello stesso. Leone Tartaglini godeva dell’esclusiva di produrre una polvere vermifuga di sua in­venzione e di stamparne la ricetta: Francesco Franco, suo nipote ed erede, a distanza di anni dalla morte dello zio, nel 1584, aveva chiesto il rinnovo di questo privilegio, man­tenuto in seno alla famiglia. Nel caso del manuale Tariffa perpetua con le ragion fatte per scontro de qualunque mercadante si voglia, che dimostra quanto monta ogni quantità de cadauna mercantia ad ogni pretio, si a peso come a numero […] (Venezia 1552), invece, viene trascritta non solo la supplica dell’autore, il già menzionato Giovanni Mariani, del 1552, ma anche la richiesta di rinnovo dei benefici derivanti dalla protezione presentata dai figli dell’autore al Senato nel 1574.

Si noti che la stampa, dando grande diffusione a descrizioni testuali e iconografiche dei prodotti e delle invenzioni, poteva fissare le caratteristiche materiali e le prassi descritte anche abbinandole ad uno standard qualitativo alto (proprio dell’originale) e rendendole identificabili e riconoscibili presso il pubblico o al cospetto di eventuali concorrenti. Non solo: proprio grazie alle descrizioni diffuse con la stampa possiamo oggi conoscere, pur se indirettamente, sembianza e peculiarità di materiali creati nel XVI secolo, ma oggi perduti (o ritenuti tali), come l’astrolabio celeste denominato Planispherio o sia Celum planum messo a punto da Matteo Bardolini nel 1529 e di cui conosciamo le caratteristiche grazie all’opuscolo Coeliplani, sive Planisphaerii ca­nones (Venezia, fratelli da Sabio, 1530). Non deve sfuggire, inoltre, che la privativa poteva dare modo di sfruttare sia i proventi derivanti da creazione e commercializzazio­ne delle opere (invenzioni) di tipo non testuale, sia gli introiti derivanti dalla vendita delle descrizioni stampate delle stesse.

La richiesta di privilegi e la pubblicazione di testi potevano diventare un momento importante per dimostrare il proprio valore all’interno di un percorso professionale e risultare utili per raggiungere avanzamenti di carriera in una prospettiva che oggi de­finiremmo curricolare. Girolamo Della Casa, abilissimo nell’arte musicale della diminuzione (affine all’improvvisazione), volle definire e sancire con la tipografia la maestria e la competenza che egli stesso aveva raggiunto in questa prassi, evidente­mente effimera perché legata al momento dell’esecuzione dei brani, e fece stampare a Venezia da Antonio Gardano, con grande sforzo tecnico, l’opera Il vero modo di diminuir (1584), protetta da un privilegio. Nel caso di Leonardo Fioravanti le suppliche presentate al Senato mostrano come questa figura di scienziato (che si sarebbe tentati di definire ‹curiosa›, ma che è più opportuno indicare come dinamica e dotata di multi­formi talenti, anche nel campo dell’autopromozione) si premurò di proteggere non solo le sue invenzioni descritte in ampie raccolte a stampa di segreti medicinali (che eb­bero grande successo e che, come precisa la curatrice del volumetto, nel 500 e nel 600 vennero tradotte in tedesco, in inglese e in francese), ma anche un breve metodo per produrre oli curativi, ottenendo una fama tale che gli permise di raggiungere la laurea in medicina (nel 1568: il titolo accademico conseguito consentì quindi a Fioravanti di presentarsi non più solo come guaritore empirico, ma come autentico medico).

Relativamente a Giovanni Barison vediamo che, all’inizio del Seicento, alla protezio­ne di 25 e 20 anni accordata ai suoi manuali calligrafici fece seguito l’assunzione dello stesso come maestro di scrittura, avvenuta certo anche grazie alla fama consolidata con la diffusione di queste opere protette da privativa, mentre fu grazie alla celebrità arrivata dalla stampa del Libro del misurar con la vista di Silvio Belli, per cui l’autore aveva richiesto un privilegio di 15 anni, che questo ingegnere vicentino attenne l’im­portante carica di proto dei Savi Esecutori delle Acque di Venezia.

Tra i nomi di chi richiedeva privilegi compaiono anche importanti personalità della cultura e della scienza del Cinquecento. Andrea Palladio nel 1575 richiese un’esclusiva di tre lustri per proteggere le tavole de I commentari di C. Giulio Cesare, disegnate anche dai suoi figli (defunti) Orazio e Leonida. Relativamente all’universo della medi­cina, spicca, anche per l’entità della produzione editoriale, il nome del botanico e medico Pietro Andrea Mattioli. Per tutelare la stampa della nuova edizione veneziana del suo fortunatissimo commento e aggiornamento all’opera di Dioscoride Pedanio, Mattioli, da Praga, riuscì a ottenere, dalla Serenissima, un privilegio ventennale di stampa per la riproduzione, a Venezia, nel 1565 presso Vincenzo Valgrisi, dell’edizione boema del 1562 del suo ponderoso bestseller, dimostrando grande consapevolezza dei propri diritti, del prestigio autoriale raggiunto e degli appoggi politici di cui godeva presso gli Asburgo.

Va però probabilmente ricercata nel noto letterato Francesco Sansovino la più com­plessa ed evoluta operazione di utilizzo accorto e abile di richiesta di privilegi: conscio dell’importanza di accentrare presso di sé i diritti derivanti sia dall’attività di stesura di testi (come traduttore, compilatore o vero e proprio autore) sia dall’esecuzione tipo­grafica delle edizioni, Sansovino aprì, in ambito familiare, una propria stamperia ed avviò una serie di abili iniziative editoriali che lo videro agire anche ricorrendo a pseu­donimi, in un’affascinante operazione di autopromozione.

Insomma, il ruolo avuto nel Cinquecento dalla tipografia, intesa come strumento per diffondere testi di vario genere, viene ribadito con forza in questa antologia di docu­menti e nei brevi saggi che li presentano e introducono, sebbene il mondo della stampa sia osservato da un’ottica non prettamente interna all’editoria. Delle tipografie, sco­nosciute sino ad epoche di poco precedenti a quella qui considerata, emerge, una volta di più, la funzione di straordinarie macchine per la riproduzione, in poco tempo, di grandi quantità di immagini e testi uniformi, mentre il nesso stampa-letteratura visto come preferenziale e predominante viene ancora una volta relativizzato da una visione del rapporto tra scrittura e società nei secoli scorsi molto più complesso ed articolato.

Ma scorrendo documenti e commenti si coglie anche quanta attenzione la Repub­blica di Venezia prestasse a supportare e a tutelare lo sviluppo e lo sfruttamento di nuove invenzioni in un’ottica economica-commerciale, internamente a una realtà dove la frammentazione politica internazionale generava un crescente bisogno di mettere a punto strumenti, peraltro solitamente poco efficaci, che fossero capaci di proteggere dal plagio, dalle violazioni della proprietà intellettuale e dal furto di quelli che successiva­mente si sarebbero chiamati brevetti.

Pur nella sua esiguità e nella sua natura di edizione fuori commercio (stampata «per Natale 2016 in 1100 copie non venali», come dichiara il colophon, a p. [109]) questa operetta presenta, quindi, notevole interesse dal punto di vista dei contenuti, ma offre anche qualche spunto di riflessione interessante per il taglio del lavoro, in particolare per alcune peculiarità della curatela di Sabrina Minuzzi. Il ruolo del curatore, infatti, in tempi recenti ha conosciuto una certa decadenza. Fino a pochi anni orsono chi si occu­pava della cura di un volume (anche quando si limitava ad assemblare testi-fonte oppu­re brevi saggi di più autori, come possono essere gli atti di un convegno) godeva di un certo rispetto a livello scientifico, cui corrispondeva di solito un’adeguata preparazione culturale e redazionale. Oggi, invece, le competenze richieste ad un curatore, inteso come studioso consapevole ed esperto della materia che sta trattando, risultano sovente poco valorizzate, e spesso rischiano di essere messe in secondo piano a vantaggio non solo di un sempre più diffuso dilettantismo, ma anche della proposta informatica di grandi raccolte complessive di dati in cui l’intermediazione e la personalità dello studioso professionista perdono di peso. L’invenzione dell’autore, invece, va a confer­mare la piena dignità delle curatele, grazie alla capacità di selezionare documenti chiari ed espliciti, all’equilibrio con cui vengono introdotti da commenti essenziali, ma effi­caci e all’attenzione a presentare argomenti altamente specialistici in modo comprensi­bile e godibile, evitando tuttavia di insistere su situazioni bizzarre e di indugiare nella ri­cer­ca di dati o citazioni accattivanti (come troppo spesso si fa nella ricerca storico-umanistica attuale). I documenti vengono lasciati parlare, senza che la loro voce renda marginale l’apporto della curatrice, a vantaggio di una proposta editoriale agile e in­dubbiamente valida.