Manuele Fior: Celestia, volume 1 e 2
Quartu SantʼElena (CA): Oblomov Edizioni, 2019 (vol. 1) 2020 (vol. 2), pp. 142 (vol. 1) pp. 136 (vol. 2), Euro 18,00
ISBN 978-888-562-189-3 (vol. 1), 978-883-145-900-6 (vol. 2)

• Francesca Faccini •


PID: https://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-EA99-5

Un’invasione è arrivata dal mare; molti sono fuggiti, alcuni hanno trovato rifugio su un’isola di pietra: Celestia, la copia di Venezia. In questo contesto definito senza troppi dettagli e riferimenti a eventi passati, Manuele Fior ambienta una storia di avventura e formazione che vede come protagonisti due ragazzi, Pierrot e Dora, che spinti dalla sete di conoscenza si avventurano sulla terraferma rendendoci partecipi di realtà la cui fantasia assomiglia in modo inquietante ad alcune forme del nostro presente.

Già nel primo dei due volumi appare una Celestia ghetto abitata da delinquenti in maschera, piccoli trafficanti e una comunità di giovani telepati al capo della quale si trova il dottor Vivaldi, il padre di Pierrot, e ai margini della quale prendono vita Pierrot e Dora. Entrambi dotati a loro malgrado dello stesso potere telepatico sono uniti dall’incapacità di gestirlo: se Dora ne appare vittima non riuscendo a controllarlo, Pierrot decide di rinunciarvi per una serie di motivazioni legate anche al suo rapporto con la famiglia. Quello a cui si assiste pagina dopo pagina in entrambi i libri è il viaggio di conoscenza del mondo che circonda la laguna, nonché un’esperienza di consapevolezza di un’ambigua utopia che potrebbe diventare un fortunato futuro.

Sebbene Fior riduca al minimo il tessuto della trama concentrandosi principalmente sulla resa di un’atmosfera piuttosto che su un intreccio complesso, l’autore condisce l’opera di numerosi riferimenti, continue allusioni che se non colte non inquinano la comprensione della storia. In questo gioco di rimandi, il più semplice vede Pierrot disegnarsi ogni giorno una lacrima sul viso, un segno che non simboleggia l’amore impossibile come nel caso della maschera romantica e sognatrice invaghita di Colombina, ma piuttosto ricorda un avvenimento drammatico. Questa lacrima, incisa sotto l’occhio destro proprio come stabilito dal manuale dei tatuaggi del carcere, da una parte sottolinea il carattere ribelle e post punk di Pierrot, dall’altra avvicina il protagonista di Fior a quello della composizione di Arnold Schönberg, Pierrot Lunaire: un poeta malinconico e triste con il quale il Pierrot di Celestia ha in comune il lato macabro nonché l’estrema facilità di partorire immagini linguistiche. Ma i simboli si riconoscono anche nei luoghi. A cominciare dalla Celestia-Venezia, i personaggi dei volumi abitano edifici mai stati come la sede del dottor Vivaldi che si trova in quello che doveva essere il palazzo progettato da Frank Lloyd Wright per il Masieri Memorial, o fortificazioni postmoderne copia della Muralla Roja di Ricardo Bofill. Questo ultimo esempio è il caso del castello rosa dove approdano Pierrot e Dora al termine del primo volume. Il castello – appartenente al sistema di fortificazione lagunare – è abitato dal custode, dalla castellana e suo figlio, ma in un passato precedente al tempo della narrazione ospitava molte persone. Battute dall’assordante eco attuale sono quelle che si scambiano il custode e Dora: «Qui siamo al sicuro, non ci può succedere proprio niente... Non c’è da aver paura» «Paura di cosa?» «A dirle la verità non me lo ricordo più. È passato così tanto tempo...». (pp. 128–129) Probabilmente mai c’è stato periodo più emblematico per interpretare questo breve dialogo se non quello post lockdown dovuto a una pandemia mondiale, una condizione di potenziale paura e dichiarata emergenza che ha fatto della casa un luogo-prigione, che ha insinuato nell’anima di molta gente una sensazione di terrore verso qualcosa che non si vede e che ci ha privati della dimensione comunitaria, forse l’unica o almeno la più forte reazione di aiuto dal basso, tra pari.

Un’umanità che invece sembra costituirsi su base collettiva è quella del nido, un assembramento di bambini che vive isolato ma non in isolamento e che pare aver in mente un nuovo immaginario futuro. Anche questo ultimo esempio si contrappone a un modello dominante di cui non si conoscono i tratti ma che si può facilmente immaginare. In un costante gioco di dicotomie con uno scenario apocalittico post invasione mai descritto, Celestia appare il faticoso tentativo di fare di un’isola il luogo protetto per un gruppo di prescelti in possesso di una particolare capacità umana – la telepatia –, mentre il nido sembrerebbe il progetto partorito da realisti di una realtà più grande, per usare le parole che Ursula Le Guin utilizzò in occasione del conferimento della National Book Foundation Medal. In questo viaggio lungo due libri fatti di tavole di colori che ricordano Rothko si cercano modi di vivere alternativi fino a trovare in un gruppo di bambini la possibilità di immaginare basi concrete per una diversa società. Sebbene il finale conceda il lusso della speranza, rimane il dubbio di quello che potrebbe accadere se il nuovo mondo dovesse tardare a comparire.