Maria Attanasio, La ragazza di Marsiglia
Palermo: Sellerio editore 2018, pp. 400, Euro 15,00
ISBN 978-883-893-777-4

· Meta Lenart Perger ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-DA59-0

Sfogliando l’Album dei Mille, una raccolta di fotografie scattate dal fotografo Alessandro Pavia, al numero 338 lo sguardo si ferma al volto di una donna, l’unica fra tanti volti maschili. È Rose Montmasson, una donna coraggiosa e rivoluzionaria, ben radicata nell’idealismo risorgimentale, la cui figura dopo la sua morte è pian piano sparita dalla memoria collettiva. Maria Attanasio, autrice di poesie e di vari romanzi storici e biografici, nel suo ultimo romanzo, La ragazza di Marsiglia (2018), decide di restituire il volto a questa donna eccezionale, dedicandole un bellissimo profilo letterario e sottraendo all’oblio i particolari di una vita insolita, piena di avventure.
Più che col romanzo storico, genere a cui la Attanasio ha ricorso nelle sue prime opere (i romanzi Correva l’anno 1698 e nella città avvenne un fatto memorabile (1994) e Di Concetta e le sue donne (1999), e la raccolta di racconti Piccole cronache di un secolo (1998), scritta insieme a Domenico Amoroso), in quest’opera l’autrice si cimenta con il genere biografico che negli ultimi decenni ha avuto una grande fortuna nella letteratura italiana. La Attanasio si inserisce così nel filone della produzione letteraria di scrittrici come Anna Maria Carpi, Elisabetta Rasy e Francesca Sanvitale, condividendo con loro l’interesse per figure storiche meno note al pubblico, ma coltivando uno stile più aderente alla cronaca. Sin dall’inizio della narrazione si comprende che il romanzo intende essere anche un omaggio alla figura di Rose Montmasson, unica donna presente fra le camicie rosse garibaldine. L’autrice si propone, in questo ampio progetto letterario, di svelare delle verità che durante la vita della Montmasson erano state spesso celate dai suoi più potenti antagonisti. Ce lo spiegano le ultime pagine dellʼopera, dove Attanasio parla dei documenti (s)comparsi di cui si è servita nella stesura del romanzo, e afferma: «a volte sono il caso e l’ostinazione a dare una mano alla verità, che cercando Rosalia volevo raggiungere a tutti i costi.» (p. 330) L’obiettivo prefissatosi prevedeva dunque una lunga ricerca di «materiali, editi o inediti, su cui si basa questa narrazione, rintracciati attraverso interminabili declinazioni di nomi e luoghi nello sterminato oceano del fratello Google» (p. 340).

La tenace indagine è partita, come si spiega nell’Appendice al romanzo, da una coincidenza, da un «misterioso richiamo tra autore e personaggio» (p. 341): trovatasi davanti alla targa dedicata all’eroina dei Mille in via Scala a Firenze, la scrittrice per la prima volta viene a sapere della Montmasson. ‹L’incontro› con questa donna la spinge a frugare nelle tasche della Storia e a stendere poi una narrazione dettagliata in terza persona, sulla sua vicenda, che viene raccontata da un narratore onnisciente il quale integra il resoconto di fatti storici con citazioni tratte da vari documenti storici sottratti dalla polvere degli archivi. Il romanzo è diviso in sei parti, strutturate a loro volta in diversi sottocapitoli provvisti, a modo di cronaca, di data e luogo precisi e spesso introdotti da un esergo che preannuncia i fatti di cui si verrà narrando. Così la prima citazione posta in esergo («...cominciò a immaginarsi soldata nell’armata della libertà, mentre a fianco di Fransuà...», p. 15) riassume l’inizio della vicenda in cui il desiderio della protagonista di partecipare alla rivolta dei Mille come donna soldato e l’amore per l’uomo della sua vita sono i principali nodi tematici. A prima vista una stereotipica storia d’amore tra due sconosciuti incontratisi per caso nel garbuglio delle strade torinesi attorno alla metà del secolo XIX (o secondo alcune fonti ancora prima, a Marsiglia), diviene via, via una vicenda molto più complessa in cui l’amore rimane solo uno dei temi principali, ma è comunque un motore che muove il complicato rapporto tra Rosalia Montmasson e Francesco Crispi. Dopo vari trasferimenti e viaggi per l’Europa, il cui scopo è spesso politico, i due s’incontrano di nuovo in Malta dove, nonostante l’avversione al loro matrimonio da parte di Crispi, che crede solo nellʼamore «che nasce dalla libera repubblica del cuore» (p. 50), decidono di sposarsi. Ciò accade solo poco prima dell’espulsione del giovane Crispi dall’isola maltese. Da quel momento in poi l’obiettivo della coppia, che condivide gli stessi ideali politici, è partecipare alla lotta per l’indipendenza dello stato italiano, cominciando con l’impresa dei Mille, un audace progetto politico sostenuto da Mazzini e Garibaldi, ma ideato in gran misura dallo stesso Crispi. La libertà diventa il tema chiave del romanzo, e trova momenti di riflessione ben oltre il contesto strettamente politico, emergendo anche in relazione alla lotta per l’uguaglianza di genere, concetto nei confronti del quale i giovani coniugi non condividono lo stesso parere. Nel testo si sottolinea il grande zelo con cui la protagonista difende i diritti delle donne e l’urgenza con cui tratta la loro emancipazione; senza l’azione delle donne, osserva, «l’unità e il progresso del genere umano non potevano realizzarsi: perché dimezzata l’anima della storia» (p. 298). È dunque anche nell’ottica di questa tematica che il romanzo meriterebbe di essere letto: come ricordo del tenace tentativo delle donne di imporre i propri diritti, e ciò sullo sfondo della storia risorgimentale.

Intorno alla battaglia per l’indipendenza, sia nell’ambito della vicenda amorosa che di quella politica viene a costruirsi l’immagine di Rosalia: una donna coraggiosa, laboriosa, fedele ai propri valori, avida di battersi per la libertà («scelta di vita che non ammetteva deleghe», p. 51) e desiderosa di conoscere il mondo al fianco di suo marito («Con lui quella fame di mondo aveva preso parola e forma», p. 29) cui rimarrà fedele anche dopo il doloroso tradimento. Accusato di bigamia, costui andrà sostenendo di non aver mai contratto un matrimonio legale con la Montmasson. A integrarne il ritratto è anche l’immagine di donna abbandonata e dimenticata, la cui vita, dopo la separazione dal marito, si nutre solo dei ricordi dei tempi garibaldini e di alcune reliquie di quel passato – medaglie, una piccola croce di diamanti e la camicia rossa – le uniche cose a farle compagnia negli ultimi anni di vita.

Nonostante le ostinate ricerche dell’autrice, non si sa ancora molto degli ultimi anni di questa donna: solo al momento della sua morte alcuni giornali le dedicarono un necrologio, ricordandola come «angelo di Calatafimi» e rendendo omaggio al suo contributo durante la spedizione dei Mille.

La ragazza di Marsiglia offre una narrazione dettagliata, fatta della stessa «esattezza realistica che caratterizza anche altre opere attanasiane»1; l’autrice si avvale di uno stile lineare di facile leggibilità; dà la preferenza a periodi brevi e sceglie un narrare relativamente veloce che dà la precedenza all’azione piuttosto che alla descrizione, in sintonia con una narrazione biografica calata sullo sfondo del movimentato periodo del Risorgimento italiano. L’essenza del raccontare cronachistico si riflette anche sul piano espressivo, dove il sostantivo con la sua immediatezza e forza espressiva prevale sull’uso dell’aggettivo. La scarna aggettivazione è del resto in sintonia con un discorso che intende rimanere asciutto e lontano da toni lirici. Queste scelte espressive legate a linearità e concretezza permettono di visualizzare meglio i fatti di cui si narra. Così l’autrice resta in posizione distanziata e lascia semmai al lettore lo spazio per costruire (o almeno integrare) l’immagine della protagonista, per vederne magari anche le debolezze e sentirne le emozioni.
È evidente che il romanzo abbraccia esplicitamente l’idea della scrittura come attività che salva la memoria del passato dalla corrosione e dall’oblio. Scrivere di Rosalia Montmasson lo avrebbe già voluto fare uno dei personaggi storici di cui si parla nel romanzo, il segretario di Crispi, Alberto D. [Alberto Carlo Dossi]; questi ripeteva infatti

che avrebbe scritto il romanzo sul Risorgimento attraverso la storia d’amore e d’impostura tra Rosalìe e Fransuà. [...] Perché la scrittura si fa arte, se pur nella finzione – necessaria per ricostruire le inaccessibili crepe del vissuto – è esperienza di verità e parola di libertà. (p. 303)

Sembra che l’autrice abbia deciso dunque di dare vita a un progetto altrui mai realizzato, restituendo identità a una figura caduta nell’ombra. Perché «è nella scrittura, nell’archivio, nella in-scrizione delle vite che ci hanno preceduto, che viene custodito il segreto dell’identità», come sostiene Schilirò, il quale definisce la formula di narrativa prescelta dalla Attanasio non-fiction novel, un genere in cui «il fatto non è inventato, ma la verità è soggettiva.»2 La forza salvatrice della scrittura, l’atto di salvare l’archivio, sembra infatti essere la caratteristica fondamentale del narrare attanasiano e ritorna anche in questo suo ultimo romanzo in cui la scrittrice riesce a ridare volto e voce a una delle donne più coraggiose della storia italiana risorgimentale. Opera che ricostruisce le «memorie sgretolate» di cui parla Octavio Paz in un testo che Attanasio, non a caso, accuratamente riprende: Memorie / sgretolate sotto i nostri passi / sono fermo a metà di questa riga / non scritta. (p. 357)

  1. Massimo Schilirò, «L’archivio salvato. Appunti sulla narrativa di Maria Attanasio», in: Le forme e la storia, n. 1–2, 2008, p. 1045.
  2. Ivi, p. 1036.