Ruprecht Günther: Napoli. Zwischen Feuer und Wasser
München: Salon Literatur Verlag, Neuauflage 2020, 112 S., Euro 18,90
ISBN: 978-3-94740-411-7

· Diego Marani ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-F453-8

Forse solo qualcuno che vive a Napoli può raccontare Napoli. Perché l’Italia è per storia e tradizione il Paese delle cento città; quindi Venezia, Torino, Firenze, Roma o Palermo – senza dimenticare tutte le altre città, talvolta a torto ritenute minori – hanno caratteristiche talmente proprie da costituire ciascuna una piccola patria, per poi formare insieme la molteplice identità italiana. Eppure Napoli costituisce un caso ancor più singolare, visto che molti (moltissimi?) italiani percepiscono Napoli come Napoli, ovvero una città – e forse un mondo? – a parte.

In questi ultimi anni l’identità italiana ha alimentato un dibattito intellettuale non privo di polemiche, spesso a causa della strumentalizzazione politica di questa talvolta perfino negata identità. Lo storico Ernesto Galli della Loggia, anche nella sua veste di editorialista del quotidiano, si è espresso più volte su questo tema, ricordando ad esempio: «Identità italiana significa insomma che la nostra Penisola presenta un insieme di caratteri che complessivamente presi sono solo suoi e non di altri luoghi della terra. Non significa affatto che in Italia tutto è monotonamente eguale a se stesso, che tutto è identico.»1 Se dunque alcuni dubitano di un’italianità comune a tal punto che altri sentono il dovere di ribadirla, esagerando solo di poco si potrebbe sostenere che per molti italiani l’identità napoletana invece è indiscutibile. Il difficile però è definirla.

Napoli è uno di quei luoghi «che ciascuno crede di conoscere anche se non li ha mai visti», scrive la casa editrice Il Mulino presentando il libro sulla città dello storico Paolo Macry, Napoli. Nostalgia di domani.2 E un altro storico, Paolo Frascani, introduce il proprio libro: «La città non ha mai sopportato di essere studiata, né interpretata, nella sua complessiva e inaccessibile globalità, e mal lo sopporta oggi, nel tempo della post verità che vede la ricerca dei fatti sovrastata da pulsioni umorali e convincimenti personali.»3

Come può dunque un fotografo non napoletano, anzi addirittura tedesco, raccontare Napoli? Ruprecht Günther, nel suo libro Napoli. Zwischen Feuer und Wasser (Salon Literatur Verlag, 2020) sembra essere consapevole di questo rischio e si affida alle immagini, lasciando le (non molte) parole a una conversazione avvenuta in Germania con la napoletana Giulia Lucia Martoccia di cui non possiamo non citare almeno una frase: nonostante tutte le sue contraddizioni – o forse proprio a causa di esse – a Napoli «die Menschen lieben das Leben und sie lieben auch dein Leben» (p. 69). Martoccia racconta al fotografo la Napoli della sua infanzia e dei suoi ricordi, Günther confronta brevemente il viaggio durante il quale ha scattato le foto di questo libro con la sua prima visita nel capoluogo campano e conclude: «Neapel hat sich im Herz nicht verändert» (p. 9).

Il libro offre al lettore un centinaio di foto distribuite in 112 pagine; l’alternanza di dettagli e panorami, di foto a colore e in bianco e nero, di ritratti e di quadri di insieme, di interni e di esterni, offre complessivamente un affresco vario e coinvolgente, anche se talvolta l’attenzione rischia di disperdersi perché manca un filo conduttore. Soprattutto mancano le didascalie, una scelta editoriale che forse vorrebbe privilegiare il lato estetico a scapito di quello cronachistico, ma che comunque non condividiamo: una fotografia senza didascalia è muta, anzi zittita, perché il cosa, quando e dove è imprescindibile per inserire ogni immagine nel suo contesto. E se qualcuno obbiettasse: «Ma spesso un’immagine vale più di mille parole» gli risponderemmo: «Sì. Purtroppo».

Anche la mancanza di una bibliografia, o per lo meno di un invito alla lettura, ci sembra una lacuna. Se da un lato infatti oggi qualsiasi motore di ricerca offre un alto numero di testi su Napoli e ancor più immagini, sarebbe interessante conoscere quali testi ed eventualmente quali immagini sono stati il punto di partenza del viaggio fotografico dell’autore.

Che cosa troviamo nelle foto di Günther? Poco mare e poco Vesuvio; tanti vicoli; tanta religiosità popolare, con molte Madonne, pochi presepi e nessun san Gennaro; non c’è Maradona, che per non pochi napoletani forse non è stato solo «la mano di Dio» ma, come minimo, anche il piede sinistro.4 C’è Totò, ancora presente nella memoria della città. Ci sono frutta, verdura e pesce, ma manca la pizza... la pizza! Che prima di diventare qualcosa che l’Italia ha dato al mondo, è stata qualcosa che Napoli ha dato all’Italia.5 In compenso la foto della tazzina di caffè è un’intuizione riuscitissima, anche se la caffettiera non è una cuccumella.

Particolarmente riusciti ci sembrano i ritratti, soprattutto quelli di persone anziane e quelli femminili. I soggetti e le inquadrature scelti da Günther sono molto personali: questa caratteristica forse è contemporaneamente il pregio più evidente e il limite più consistente del libro. Il quale non è (e probabilmente nemmeno vuole essere) una sfida alle riviste o alle guide di viaggio6, né un reportage foto-giornalistico, neppure il tentativo di una storia della città7, tantomeno un modo per illustrare con immagini le Napoli raccontate da un Roberto Saviano o da una Elena Ferrante, per citare due autori assai diversi tra loro che hanno fatto conoscere anche all’estero alcuni dei molteplici aspetti della città.

Quale Napoli raccontano dunque le immagini di Günther? Forse può aiutare un paragone con la musica, materia con cui il fotografo e scrittore ha molta dimestichezza, almeno a vedere le sue pagine internet.8 Quale è la musica che si potrebbe definire «napoletana»? Quella di cantautori storici, come il blues di Pino Daniele che cantava anche in dialetto, o il rock and roll di Edoardo Bennato, che con ironia ripete da quarant’anni «sono solo canzonette» ben sapendo che esse rappresentano – almeno per chi le ascolta – molto di più? O forse il rap mescolato a suoni etnici ed elettronici di gruppi come Almanegretta, negli anni Novanta e Duemila? O ancora la tradizione melodica e neomelodica, che attraversa con nomi diversi tutta la storia della città? O ancora fenomeni recenti come Liberato, che non solo nelle canzoni ma anche nei video offre visioni contemporanee di Napoli? Ognuno di questi tipi di musica ha un legame con la città ma nessuno la rappresenta interamente. Dipende molto dal gusto e dagli interessi di chi l’ascolta.

Allo stesso modo potremmo definire questo libro: rappresenta una delle possibili raccolte di immagini di Napoli, e ci sembra molto legata all’esperienza e alla sensibilità dell’autore. Forse questo libro di fotografie è soprattutto un invito al lettore ad andare in quella città, o a tornarci, per confermare, smentire o ricreare un proprio immaginario napoletano (senza dover necessariamente fotografare). Forse non sarà molto, sicuramente non è poco.

  1. Galli della Loggia, Ernesto su Il corriere della sera, 15 settembre 2018. La casa editrice Il Mulino ha dedicato una collana di libri al tema. Lo stesso Della Loggia ha scritto L’identità italiana, Bologna: Il Mulino 1998.
  2. Macry, Paolo: Napoli. Nostalgia di domani, Bologna: Il Mulino 2018.
  3. Frascani, Paolo: Napoli. Viaggio nella città reale, Roma-Bari: Laterza 2017, p. 7.
  4. Diego Armando Maradona (1960–2020) perfino per l’enciclopedia Treccani è «uno dei maggiori talenti della storia del calcio». L’argentino giocò nella squadra del Napoli dal 1984 al 1991, contribuendo in modo determinante a vincere due scudetti, nel 1987 e nel 1990, gli unici nella storia della città. L’espressione «mano di Dio» si riferisce a un gol segnato da Maradona di mano (quindi in modo non regolamentare) nel 1986, in Messico, nei quarti di finale del campionato mondiale, durante la partita tra Argentina e Inghilterra. Nella stessa partita Maradona segnò anche un gol, partendo da centrocampo e scartando mezza squadra avversaria, destinato a imprimersi nell’immaginario collettivo globale ancor prima dell’avvento di YouTube. Dal 2020 lo stadio di Napoli è intitolato a Maradona.
  5. Maria Carmen Morese, direttrice del Goethe Institut a Napoli e autrice di alcuni libri sulla città, ha scritto: «Am Samstagsabend isst der Neapolitaner Pizza, koste es, was es wolle». (Morese, Maria Carmen: Neapel, Lieblingsorte, Berlin: Insel Verlag 2018). Sulla pizza e il suo rapporto con l’identità italiana l’antropologo Franco la Cecla ha scritto La pasta e la pizza, Bologna: Il Mulino 2002. Lo storico Massimo Montanari studia da quarant’anni l’alimentazione anche come espressione di una cultura: di lui ricordiamo almeno L’identità italiana in cucina. Roma-Bari: Laterza 2010.
  6. Napoli, anche per il pubblico tedesco, continua ad essere una parte dell’immaginario collettivo. Nel numero di settembre 2019 della rivista Merian il caporedattore Hansjörg Falz avverte il lettore: «jede Reise nach Neapel ist für das Gemüt ein dauerhafter Leistungstest. In dieser herrlich chaotischen Stadt werden alle Sinne permanent herausgefordert» (p. 3).
  7. Come invece per esempio ha curato Attilio Wanderligh per le edizioni Intra Moenia negli otto volumi della Storia fotografica di Napoli, che copre interamente il XX secolo in un arco temporale dal 1892 al 2001.
  8. L’immagine di apertura del sito web dell’autore (https://ruprechtguenther.de) mostra Günther che suona la chitarra. Alcune canzoni si possono ascoltare nella sezione musicale del sito.