Valentina Maini: La mischia
Torino: Bollati Boringhieri 2020, 512 pp., Euro 18,50
ISBN: 978-88-3393224-8

· Francesca Faccini ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-F450-B

Se dovessi definire con una parola La mischia, romanzo d’esordio di Valentina Maini uscito nel 2020 per i tipi di Bollati Boringhieri, sceglierei il termine «affollato», vocabolo che mostra un certo accordo con il titolo stesso del libro. La sensazione di concentramento che si percepisce è determinata da una parte dai personaggi, dall’altra dalla varietà di tipologie testuali che passa dai referti, al romanzo all’interno del romanzo, ai verbali, alle registrazioni audio. Sebbene il numero di figure che si incontrano durante la lettura non sia elevato, la narrazione di ogni soggetto è caratterizzata da un’autonomia che supera il legame presente tra di loro: intorno ai gemelli, Gorane e Jokin, gravitano tutti i personaggi che non appaiono mai secondari rispetto alla coppia cardine. Il risultato è un’opera corale pervasa dal tema del terrorismo dell’ETA senza essere un romanzo sul terrorismo, ma piuttosto sul conflitto interiore e sulla paranoia generata da un’esperienza di militanza non sempre scelta.

È in una Bilbao del 2007 scossa dalle ultime azioni dell’ETA che incontriamo Gorane e Jokin, due venticinquenni figli di militanti dell’ETA cresciuti nella stessa maniera libertaria ma diventati persone molto differenti: se Jokin è il figlio che ha sposato le ragioni dell’indipendentismo basco, Gorane è la figlia che rifiuta la lingua basca e che soffre i valori trasmessi dai genitori. Jokin, batterista ed eroinomane, non mostra discontinuità rispetto al contesto in cui è nato, un contesto che allarga i confini della famiglia per entrare nei circoli, nelle sale, nelle assemblee, un contesto che sembra delineare la madre e il padre nelle forme dei compagni di lotta più che in quelle dei genitori. Al contrario, l’atteggiamento di Gorane introverso e ambiguo, se non addirittura contrario, alla causa basca fa di lei una reazionaria, una tradizionalista, fa di lei la Spagna:

Io non sopporto le mescolanze perché ci sono cresciuta, nella mischia, perché nessuno mi ha insegnato come separare il sogno dalla veglia, l’infanzia dall’adolescenza dall’età adulta e dalla vecchiaia, l’essere figlio dall’essere genitore, la giustizia dalla brutalità, la libertà dall’incoscienza, la maleducazione dalla sfrontatezza, la fratellanza dall’amore, la follia dall’intelligenza, il sogno dalla fuga, la fuga dal coraggio, il coraggio dalla bellezza, la bellezza dalla maleducazione. A me hanno insegnato solo qual era il bene e qual era il male, ma non mi hanno spiegato perché, mi hanno consegnato la loro verità come la fiamma olimpica a una staffetta, sperando che io la portassi in giro a testa alta, e su questo io non ero d’accordo, non avevo la fortuna di essere d’accordo come succedeva a Jokin che sapeva sfrecciare senza avere idea di cosa avesse in mano. (p. 331)

La distanza caratteriale prima e ideologica poi non lede il legame tra i gemelli ed è proprio il senso di reciproca appartenenza che spinge Gorane ad andare a Parigi alla ricerca del fratello a sua insaputa arrestato dalla polizia francese. Con la ricerca di Gorane comincia un alternarsi narrativo che accoglie la quotidianità di Gorane, le avventure sentimentali di Jokin raccontate dalle sue amanti, le accuse mosse dalla polizia nei confronti di Jokin colpevole di aver preso parte a delle azioni dell’ETA, i resoconti di uno psichiatra coinvolto nel processo di disintossicazione forzata di Jokin, e il romanzo di uno scrittore francese. In questa contaminazione di piani narrativi tutti hanno una voce che parla di Jokin e Gorane e ognuna di queste voci sembra restituire un tassello della storia di questi gemelli così profondamente legati alla vicenda del terrorismo basco. Senza alcun giudizio morale, Maini traccia il profilo di chi in quella causa ci ha creduto fino a far perdere la vita altrui e la propria – i genitori –, di chi quella causa l’ha abbracciata senza una vera consapevolezza – Jokin – e di chi quella causa l’ha rifiutata – Gorane. Tale triangolo di situazioni e di posizioni politiche ed esistenziali, non permette di individuare chi rappresenta il giusto e chi rappresenta lo sbaglio, perché la giustizia non si confonde mai con la legge e le scelte di ogni personaggio restituiscono integrità mai pentimento.

Questo gioco di equilibri che vede la ricerca di un fratello, la presa di distanza di una sorella e una famiglia che crede così tanto nei propri valori da non temere la morte, fa tornare alla mente L’attentato di Yasmina Khadra. Anche in questo romanzo – riportato in libreria da Sellerio nel 2016 con il titolo originale (L’attentat) dopo che Mondadori l’aveva fatto uscire nella sua prima edizione italiana con il titolo L’attentatrice1 presentando il libro in modo fallace agli antipodi rispetto a ciò che il testo voleva denunciare, così come dichiarato dall’autore stesso –, la ricerca di una persona cara intreccia la questione del terrorismo pur non essendo un libro sul terrorismo. Se nel caso di Maini il legame è quello tra sorella e fratello e il contesto politico è quello dell’ETA, in Khadra il rapporto che si indaga è quello tra un marito e una moglie morta in un attentato kamikaze fatto esplodere dalla moglie stessa militante della causa palestinese. L’indagine personale di Amin Jaafari, protagonista de L’attentato, inizia con l’intenzione di scoprire «chi ha indottrinato mia moglie, l’ha bardata di esplosivo» (p. 103), una certezza di indottrinamento che sfuma durante un percorso che porta Amin a conoscere le motivazioni di chi viene definito spesso troppo frettolosamente «terrorista». Il timore dell’indottrinamento e la difficoltà ad accettare l’idea che qualcuno possa scegliere con coscienza la via della lotta armata sono aspetti presenti anche ne La mischia, sebbene non siano esplorati nella loro complessità. La critica che muovo all’opera di Maini è la mancata analisi della posizione di chi crede in modo così fermo in una causa da inseguirla contro tutta la felicità e la vita; la contrapposizione tra un Jokin che segue le orme dei genitori e dunque della lotta senza una vera consapevolezza e la messa in discussione totale di Gorane rischia di essere poco interessante quando invece Maini dimostra di avere il tatto, la libertà e la conoscenza necessari per indagare i perché di tali scelte. Ne La mischia non ci sono eroi e antieroi, non si condanna nessuno, ma l’indagine esistenziale è distribuita tra personaggi che non sono in grado di restituire il giusto spessore a Jokin, Gorane e, perché no, ai loro genitori. Decidere di utilizzare come cornice l’organizzazione Euskadi Ta Askatasuna (ETA, Nazione basca e Libertà) cala il romanzo all’interno di una situazione politica, culturale, sociale, esistenziale ben precisa: i protagonisti continuano a fare i conti con un passato che pare aver definito il destino di entrambi. Ma forse Valentina Maini non è interessata a scrivere un romanzo che parli del perché di alcune scelte, forse Valentina Maini conosce così bene questi perché da non sentire il bisogno di spiegarli. Prendendo in prestito le parole di Yasmina Khadra, ipotizzo lo stesso perché sia della scelta di Gorane sia della scelta di Jokin:

Il bambino corre più veloce del dolore, più veloce del destino, più veloce del tempo… E sogna, gli intima l’artista, sogna di essere bello, felice e immortale… Come liberatosi dell’angoscia, il bambino corre sul crinale delle colline battendo le braccia, il visetto raggiante, le pupille in visibilio, e si lancia verso il cielo, trascinato dalla voce del padre: possono toglierti tutto, le proprietà, gli anni più belli, ogni tua gioia, ogni tuo merito, fino all’ultima camicia. Ti resteranno sempre i tuoi sogni per reinventare il mondo che ti hanno negato.2

  1. L’attentatrice, Milano: Mondadori 2006; L’attentato, Palermo: Sellerio 2016.
  2. Khadra: L'attentato, op. cit., pp. 250–251.