Versodove compie vent’anni

· Claudia Murru ·


PID: http://hdl.handle.net/21.11108/0000-0007-DA60-7

Con l’ultimo numero pubblicato dalle edizioni bolognesi InPagina, Versodove celebra il suo ventesimo anno. La rivista nasce nel 1994 dal confronto tra l’esperienza dell’associazione Versodove, attiva a Bologna dal 1989, e Roberto Roversi, direttore di riviste storiche quali Officina e Rendiconti. Lo slancio fondamentale, sul quale ritorna nell’editoriale il direttore responsabile Stefano Semeraro, era di sconfinare dagli spazi istituzionalizzati, perseguire l’istinto (storicamente inevitabile) a lasciarsi contaminare, a «mischiare le carte, esplorare mercati intellettuali diversi senza arrendersi a muri e frontiere» (Versodove, 20, Edizioni InPagina, Bologna, ottobre 2018, p. 1). L’ultimo fascicolo rispetta questa vocazione originaria proponendo un percorso nei territori della psicanalisi, con in apertura l’intervista a Vittorio Lingiardi intorno al suo Mindscapes (2017), e le riflessioni sul «paesaggio dell’inconscio» (ivi, p. 18) di Alessandro Guidi. I «percorsi di andata e ritorno fra mente e scrittura, fra psiche e pratica letteraria» (ivi, p. 1) incontrano in poesia i testi di Silvia Molesini, Paola Silvia Dolci, Rodolfo Zucco, Mariasole Ariot, Alessandro Greco, Simone Maria Bonin, Matteo Bianchi e Luciano Mazziotta; per la narrativa, i testi di Laura Liberale, Stefano Pierantoni, Licia Ambu, Lorenzo Mari e Emmanuel Iduma. La sezione traduzione propone le poesie di Michael Palmer, nella versione di Marilena Renda. Infine nella sezione «In/contro», lo sguardo si sposta sullo stato della critica letteraria, con le interviste a Gabriele Frasca, Paolo Giovannetti e Alberto Bertoni.

La psicanalisi contagia anche spazi non contigui, sfidando l’«affascinante pirateria intellettuale» (ibidem) di Yanis Varoufakis, come la definisce Semeraro, nella doppia intervista all’ex ministro greco e allo scrittore e drammaturgo Giorgio Maniotis. Il dialogo, a cura di Giorgia Kavunaki e dal titolo suggestivo Edipo nel caveau, muove da una indagine sul mercato letterario e sulla monetizzabilità del mito, per approdare infine a una riflessione sulla letteratura, il teatro, la poesia, come terapie della psiche collettiva. È cura della redazione (Vincenzo Bagnoli, Vito Bonito, Alessandro Di Prima, Fabrizio Lombardo, Vittoriano Masciullo, Manuela Pasquini, Marilena Renda) intessere una coerenza che invece di passare attraverso l’elaborazione di un tema principale, si compone di invisibili accostamenti, congeniali a fare emergere una trama dialogica sotterranea: così, ad esempio, alla posizione di Varoufakis radicalmente scettica nei confronti della psicanalisi – «industria della psicoterapia» e cessione «della salute della psiche nelle mani degli specialisti» (ivi, p. 8) – risponde indirettamente nelle pagine successive Lingiardi, che nella distanza tra i due linguaggi riconosce tuttavia una affinità essenziale: la poesia, come l’analisi, evoca una «parola che cura», e in entrambe «possiamo cogliere i piccoli movimenti dell’oggetto mentre muovono i primi passi verso il crearsi di un significato» (ivi, p. 16).

Si riconsegna così al lettore il compito di tenere insieme una fitta rete di temi, rimandi, percorsi isotopici. Sempre il lettore si trova al centro del ricorrere di alcuni motivi semplici, legati a questioni che sono il patrimonio immediato e intimo dell’esperienza della lettura. Domande del quotidiano, all’apparenza banali, come quale è l’ultimo libro che hai letto o quali scrittori ti piacciono, tornano a ingigantirsi: si sottraggono alla vertigine della lista per restituire alla parabola del pensiero la sua materialità. L’intervista si rivela lo strumento più efficace allo scopo. Nelle pagine dedicate all’intervista a Varoufakis e Maniotis, ad esempio, la domanda sugli scrittori preferiti diventa l’occasione per evocare una riflessione corale circa il legame tra la tragedia sofoclea e la condizione contemporanea, tale per cui l’espressione della evoluzione sociale è, per usare l’espressione di Varoufakis, «la confutazione della tragedia» (ivi, p. 7). Riprende il discorso Maniotis: «[la nostra civiltà] non ci lascia completare il nostro ciclo, arrivare al massimo rigoglio e poi decadere. Si ferma sempre e rinnova il rigoglio, ad ogni costo, facendolo diventare così una cosa mostruosa» (ibidem).
Altre domande ancora, più difficili, dilagano spontaneamente, quasi a disegnare una necessità: è forse un caso che in una epoca schiacciata sull’attuale, tra queste ricorra la domanda su cosa è un classico, ovvero su ciò che sopravvive al suo tempo, sul mistero del postumo? Domanda inaggirabile e dalle infinite risposte, che tra le altre cose costringe la critica a interrogarsi sul proprio ruolo rispetto al mercato letterario. Una suggestione arriva da Gabriele Frasca che oppone al mito d’oggi del «non riuscire a staccare gli occhi dalla pagina», l’idea di un’opera la cui spina irrita, che «costringe a sollevare lo sguardo dalla pagina, o per farsi ripetere all’aria aperta, […] oppure per farmi sprofondare all’inseguimento di una scia di luce nel buio da sala cinematografica dei miei pensieri» (ivi, p. 35).
Per una anticipazione del numero 20 e uno sguardo ai numeri precedenti si rimanda al sito https://versodoverivista.wordpress.com/