Geosofia e Immaginario
Esiste uno stile dei luoghi che come lo stile di vita impatta sulle nostre visioni del mondo, sulle nostre narrazioni, sulle nostre biografie, ma anche sulle nostre funzioni fisiologiche e cellulari.
Nel nostro rapporto con la Terra siamo ad un crocevia.
Non sappiamo come spiegarlo, ma lo percepiamo in profondità.
Perciò come possiamo recuperare una visione spirituale e allo stesso tempo pratica della terra, dei luoghi, dei territori?
Geosofia è l'unione tra le parole greche geo «terra» e sophia «saggezza».
La Geosofia rappresenta la conoscenza dei territori attraverso le interpretazioni, le esperienze, le narrazioni e le visioni significative di ogni persona.
Il concetto venne introdotto nel 1947 dal geografo John Kirtland Wright che con Geosofia indicava soprattutto la percezione immateriale delle persone rispetto alla loro idea della terra. L’interesse era quello di carpire le visioni del mondo, non tanto del geografo o dell’addetto ai lavori, ma quelle del pastore, del pescatore, dell’artista, del Wanderer, del flâneur.
Nella Geosofia, a differenza della geografia, la realtà antropologica e morfologica viene osservata e narrata in un quadro olistico. Non si comprende il linguaggio umano, ad esempio, senza osservarne la toponomastica del luogo in cui quel linguaggio accade.
Ho cominciato a teorizzare di Geosofia, non più come concetto, ma come disciplina, a partire da un contesto specifico di osservazione: gli Appennini Mediterranei. Si tratta di montagne che affiorano o che viceversa affondano nel mare fisico e linguistico di civiltà millenarie del Mediterraneo, ma che con il mare hanno un rapporto non solo marinaresco, ma anche arcadico e transumante.
Geosofia e terra incognita
La mia osservazione è partita da una domanda chiave: qual è l’immaginario di una terra che storicamente è stata definita terra incognita?
Una terra che nei secoli portò i suoi confini, così lontani dagli attuali, fino ad estendersi geograficamente al mare di Sicilia.
Una terra che sulla sponda jonica aveva la scuola pitagorica e su quella tirrenica, a ovest, la scuola eleatica di Parmenide.
Oggi, questa straordinaria terra secolare, la Lucania, viene nominata spesso per lo sfiancamento migratorio, per il deflusso costante e continuo di partenze. Ma c’è un movimento contrario, sottile, per lo più poco osservato e quasi invisibile, che da qualche anno amo definire Riforestazione Umana d’Appennino.
In questa terra incognita, infatti, attratti proprio dalla sua storia, dal suo immaginario, dai suoi archetipi, dai suoi riti e miti, arrivano, da ogni parte del mondo, persone che vogliono viverci da residenti. Si tratta di persone che cercano un contatto autentico con le nostre grandi montagne, le serre, i tratturi, gli altipiani, le coste. Un contatto però non fugace, non il famoso mordi e fuggi, ma un ascolto prolungato, un dialogo reciproco. Sono persone che amano rivivere e far rivivere territori per lo più abbandonati, ma che oggi rappresentano un crocevia di opportunità, un avamposto per sentinelle che vogliono curarsi di questo mondo, coltivarlo, allevarlo, custodirlo.
Sono luoghi rurali marginali che conservano ancora una loro wilderness.
Habitat in cui l’uomo è intervenuto poco.
Ma questa Riforestazione Umana, sottile e continua, di un territorio sempre più spopolato, può aiutarci a riscrivere una visione futura di questa terra e di altre terre?
E di quali strumenti o linguaggi nuovi abbiamo bisogno per accompagnare la costruzione di questa visione?
Lev Tolstoj amava dire: se vuoi essere universale parla del tuo villaggio.
In Lucus, Taccuino di Geosofia, ho iniziato a costruire una narrazione il cui linguaggio, i personaggi e i luoghi, dichiarassero, come un piccolo manifesto, una loro appartenenza simbolica e fisica agli Appennini Mediterranei, alla Lucania, alla terra incognita.
Topos e linguaggio
In questo cammino mi è arrivata, mi è giunta una domanda ricorrente di lettori e studiosi: si può dare una Geosofia per ogni luogo ovvero si può applicare la Geosofia alla narrazione di ogni tipo di topos?
Ho provato a rispondere alla domanda attraverso una serie di ipotesi e vagliando una serie di tesi.
Il cammino è ancora da fare e la Geosofia non è ancora pronta a declinarsi in parcellizzazioni settoriali, ma è chiaro che, quando il contesto di osservazione non ha più testimoni, ad esempio, quando non ci sono ‹pastori, artigiani, contadini, pescatori› o quando questi mestieri hanno fatto salti generazionali tali da portarli su dimensioni industriali o commerciali lontani dalla radice, dalla terra, dalla natura fisica, difficilmente si può ricostruire un immaginario narrativo di quel luogo.
Per fare Geosofia, in pratica, non bastano narrazioni profonde e forti, ci vuole ancora una radice di autenticità ancestrale di resistenza, pena il finire in un folclorismo rievocativo e nostalgico che poco apporta alla conoscenza e al significato dello studio.
Gli antropologi che proseguivano a studiare popoli ‹non ancora civili›, secondo un’accezione di civiltà tutta antropocentrica, volevano, in qualche modo sottolineare questo stato di fatto: c’è bisogno di testimoni diretti di un immaginario per ricostruire o narrare quell’immaginario.
Quando l’antropologia si è via via accostata all’urbanistica e alla sociologia dei processi culturali, quando ha voluto indagare i fenomeni urbani, a mio avviso, si è orientata verso un suo progressivo allontamento dall’alterità, dall’altro (cfr. Emmanuel Lévinas, Umanesimo dell'altro uomo, Il Melangolo, 1998).
Considero, anche in questo contesto, la Geosofia, la disciplina con cui si possono d’ora in poi osservare e narrare con cura le ‹terre di mezzo e quelle incognite›, ovvero quei territori che per una mancanza chiara di confini spazio-temporali esprimono ancora forme ancestrali di appartenenza.
Ma allora torniamo alla domanda: si può dare una Geosofia per ogni luogo ovvero si può applicare la Geosofia alla narrazione di ogni tipo di topos?
La mia risposta attuale, con le attuali conoscenze che ho, è no.
No, non si può fare Geosofia di ogni luogo o topos, si può fare Geosofia andando a raccontare e osservare ciò che ancora conserva memoria viva di appartenenza entro un contesto poco o semi sconosciuto o poco osservato e il cui immaginario, come una tela di trame, può riannodarsi ad un senso, ad un significato narrativo coerente, ad una parabola comprensibile.
Nella mia ipotesi di Geosofia rientra la possibilità che la narrazione sia coerente anche nelle forme linguistiche e grammaticali con il territorio che racconta, ma questo non vuol dire solo uso di forme dialettali o simili, ma un orientamento in cui la forma tende a combaciare con gli strumenti verbali con cui si nominano luoghi e spazi.
Se si leggono alcuni miei titoli di racconti si troveranno parole come: Isca, Frascari, Avvociare, oppure si troveranno nomi di contrade e non di paesi, città: Cielagreste, Sella del Titolo, Serra del Garbo. In questi titoli e nelle narrazioni riporto la toponomostica di identità fisiche territoriali attribuite dal linguaggio umano, poiché lì accade un’alchimia fra linguaggio, nome e morfologia del luogo. Viceversa il linguaggio vede e nomina il luogo dopo averne ricevuto in cambio un dono di richiamo, di chiamata.
Il mio tentativo è far combaciare identità morfologica di un luogo con la filosofia del linguaggio che quel luogo esprime con il suo immaginario. Nel libro Il Dio selvatico di prossima uscita porto avanti questo tentativo con più precisione possibile.
Note bibliografiche:
Arleo, Franc, Il Dio salvatico, AnimaMundi Edizioni (in uscita in autunno 2024, qui una scelta).
Arleo, Franc, Lucus. Taccuino di Geosofia, AnimaMundi Edizioni, 2023 (qui una scelta in traduzione tedesca).
Heidegger, Martin, In cammino verso il linguaggio, Mursia, 1999.
Lévinas, Emmanuel, Umanesimo dell'altro uomo, Il Melangolo, 1998.
Tambassi, Timothy, The Philosophy of Geography, Springer, 2021.
Wright, John K., Terrae Incognitae: The Place of the Imagination in Geography, Annals of the Association of American Geographers, Vol. 37 N. 1, 1947.
L’autore:
Franc Arleo è l’ideatore e direttore della prima collana editoriale di Geosofia in Europa ed è Art Director di Geolander.it (Digital Twin & Geography Company).
Promuove la Geosofia come disciplina umanistica e scientifica orientata a costruire una nuova consapevolezza dei territori e la Riforestazione Umana degli Appennini Mediterranei come metodo per concreto ripopolamento delle aree più spopolate d’Italia.
È nato in Lucania nel 1974. Ha scritto Nelle mani la sera (2001), Scrijatinne (2003), Scappa (2005), Terrainsonne (2012).