Introduzione
Scrittore e filologo italiano, Michele Mari, si potrebbe classificare uno degli autori più eruditi della letteratura italiana contemporanea. Nei suoi libri si scoprono numerosi elementi intertestuali e metatestuali che il lettore deve essere preparato a esplorare per comprendere appieno il mondo letterario di Mari. Di bestia in bestia, Io venìa pien d’angoscia a rimirarti, Tu, sanguinosa infanzia e Leggenda privata sono solo alcuni titoli di Mari in cui si esplorano i temi dell’infanzia, del concetto di memoria, della mostruosità e dell’intertestualità. L’infanzia e la memoria intrise dall’elemento mostruoso, che trova rappresentazione attraverso tratti del mondo fantastico, e in particolare del fantastico gotico, sono temi frequenti nei suoi lavori. Tanto profondo e complesso è il suo mondo letterario, altrettanto poca è la critica su questo autore (come ci informa Mongelli (2016), tranne una monografia di Carlo Mazza Galanti del 2011 e uno studio di Antonella Falco del 2012, manca la critica dell’autore). Gli studi critici qua presentati esplorano la connessione tra infanzia e fantasmi nei racconti di Mari. Tuttavia, Mari è uno scrittore poliedrico il cui lavoro merita attenzione perché ci porta di fronte a un «equilibrio tra autenticità sentimentale e autenticità strutturale» (Costa 2020) che risulta sempre in originalità irripetibile.
Il presente lavoro analizzerà il modo in cui nei tre racconti della raccolta Fantasmagonia emerge che gli ambiti principali di creazione, ricerca e trasmissione delle storie, ovvero il mondo letterario, e il tema legato all’ambito familiare (con un focus sull’infanzia), siano in realtà contesti che nascondono un mondo tutt’altro che noto e confortante, ma piuttosto una fonte di paure e angosce. Per esplorare questi aspetti, verranno qui esaminati: La famiglia della mamma, Il patrimonio del popolo tedesco e Josef K. Entrambi i mondi, quello letterario e quello familiare, dovrebbero essere luoghi sicuri: il primo perché immobile, un mondo delle cui origini si può essere certi, studiato minuziosamente nel corso degli anni; il secondo perché la casa familiare dovrebbe essere, almeno secondo le norme sociali, un luogo sicuro in cui i bambini crescono pronti per entrare nel mondo degli adulti. Mari demistifica queste certezze utilizzando diverse strategie narrative, fra cui la metalessi e paralessi. Usando la paralessi, crea l’effetto di mancanza di un’informazione cruciale visto che con questa figura stilistica nel testo si dice meno di quanto sarebbe necessario per chiarire una data relazione o situazione, mentre con metalessi, una figura retorica con cui si fa riferimento a qualcosa per mezzo di qualcos’altro che è lontanamente correlato a essa, attraverso una relazione causale o attraverso un’altra figura retorica (v. Mӧllendorff) produce un’ulteriore sensazione di insicurezza. Entrambe le figure stilistiche lasciano qualcosa di vago di ciò che si sta dicendo e creano un confine netto tra reale e fittizio, una possibile situazione di disagio prodotto da straniamento. Così si leggono tre racconti che apparentemente, ovvero nella loro impostazione iniziale, non sono fantastici; lo diventano solo quando il noto passa al regno dell’ignoto.
Fantasmagonia è una raccolta di racconti del 2012 e già nel titolo si gioca con qualcosa di familiare che crea un primo disagio nella lettura. Infatti, la parola che conosciamo, «fantasmagoria», non ha nulla a che fare con questo neologismo. «Fantasmagoria» significa illusione ottica, ma nella raccolta non si tratta solo di illusioni della realtà. «Fantasmagonia», infatti, è un termine molto più adatto, una parola composta dalle parole greche fantasma e gonia, che tradotte letteralmente significano «creazione di un’apparizione». Il titolo, dunque, è un manifesto programmatico dell’intera opera: il posto dove si creano i fantasmi oppure tutte le paure e le ansie che uno porta con sé per tutta la vita. Per Mari, questo posto è la famiglia, un locus quasi terribilis che durante l’infanzia fa nascere tanti problemi e fantasmi con cui uno combatte fino alla morte. Con questa interpretazione del titolo in mente, vanno letti e analizzati i racconti. Prima di procedere all’analisi dei racconti, vale la pena riassumere le tre storie.
La famiglia della mamma è un racconto basato interamente sul dialogo tra madre e figlio. Un bambino curioso chiede alla madre di raccontargli storie sulla sua famiglia e lei inizia con la prima su zio Alfred, che aveva due figlie furbe che sono riuscite a prendere la sua proprietà prima che lui morì e a diseredare la terza figlia che veramente amava suo padre. Dopo avergli raccontato anche del cugino Harold e del bisnonno Rufus, al lettore diventa chiaro che queste storie trovano dei possibili fondamenti nelle opere di Shakespeare: Capiamo subito che zio Alfred dovrebbe essere Re Lear, Harold rappresenterebbe Amleto, mentre Rufus sarebbe Otello. Tutto è avvolto nel mistero e in uno sconvolgimento del familiare quando il narratore finalmente ci rivela che queste sono le avventure familiari di Mary Arden, figura storica e madre di Shakespeare.
Il secondo racconto, Il patrimonio del popolo tedesco, si interroga ancora di più sull’originalità di un altro tipo di letteratura: le fiabe. I due fratelli Grimm viaggiano in carrozza verso un certo luogo e durante il tragitto uno dei due, Wilhelm, è costantemente tormentato da un senso di colpa. Ben presto viene svelata l’esistenza di un terzo fratello malato, Ludwig, che in realtà avrebbe scritto tutte le fiabe che gli altri due poi vendono come racconti originali del popolo tedesco. Un colpo di scena ancora più grande avviene quando scopriamo che il vero autore non è neanche il terzo fratello ma un mostro, un essere che appartiene al mondo fantastico.
L’ultimo racconto qui considerato è Josef K. In esso i temi della letteratura e della famiglia sono inclusi in modo più complesso. Josef K. è un ragazzo che allude a Pinocchio; si tratta di un soggetto un po’ confuso che vuole trovare e incontrare il suo vero padre. Rifiutato dalla società per i suoi movimenti impacciati e legnosi, intraprende un lungo viaggio alla ricerca del proprio creatore. Scopre che colui che gli aveva dato la legnosità è Giuseppe, ma il vero padre, quello che gli aveva trasmesso l’angoscia, è Carlo Collodi.
Letteratura angosciante
Come si può osservare già da questi brevi resoconti, tutti e tre i racconti hanno elementi intertestuali e metatestuali, vi si usano, per la loro costruzione, dati biografici di scrittori ed elementi delle loro opere. Tutto ciò Mari lo fa in modo sottile, non dicendo mai direttamente al lettore cosa sia vero e cosa invece no. Usa la paralessi, sottolineando solo la connessione tra lo scrittore e l’opera, e arriva così vicino a ciò che al lettore sembra essere ‹la grande verità›, senza però mai confermarla, sicché tutto rimane sospeso e si apre sull’ignoto e sulla paura (Baird e Thonnsen 432).
In La famiglia della mamma, la madre Mary Arden racconta a suo figlio tre storie sulla sua famiglia, in ciascuna delle quali il lettore riconosce una delle grandi opere di Shakespeare. Chi legge riconosce perciò che Alfred, che fu distrutto dalle due figlie, rimanda a Re Lear; Harold è diventato Amleto, mentre il bisnonno Rufus, innamoratissimo di sua moglie, è Otello. Lear, Amleto e Otello, a noi noti come eroi tragici, che soffrono per hybris, indecisione e gelosia, resi ora figure della quotidianità, diventano dei personaggi da cui il supposto piccolo Shakespeare è affascinato. Non è più una tragedia tramite la quale avviene una catarsi, anzi, provoca una sorta di orrore perché le tragedie di Shakespeare sono piene di morti (a volte superflue) ma se in letteratura un tale atto poteva venire considerato tragico e inevitabile, in questo nuovo contesto di realtà biografica (seppur immaginata) diventa mostruoso, come dice a un certo punto il padre del piccolo Shakespeare: «Con la testa piena di tutte le mostruosità commesse dai tuoi parenti!» (Mari 10). Oltre a sfidare il concetto di originalità che, come un culto, avvolge Shakespeare suggerendo che era sua madre a trasmettergli la storia vera della sua famiglia e presentandoci Shakespeare come un attento ascoltatore che semplicemente riporta la verità, vediamo in quel racconto alcuni elementi di verosimiglianza che avrebbero formato Shakespeare come scrittore. Il costante interrogarsi del figlio sul significato di certe parole allude a Shakespeare come creatore del vocabolario inglese: «Cosa vuol dire adulava? […] Cosa vuol dire perspicace?» (Mari 8) L’impressione generale alla fine del racconto è quello di un’incertezza dovuta alla distruzione di un ideale; soluzione collegata a quelle numerose teorie sull’origine incerta delle opere di Shakespeare nonché alla tesi di coloro che dubitano dell’esistenza stessa dell’autore. Tutto sommato, questo racconto sembra sminuire l’importanza delle famose tragedie del drammaturgo riducendole a livello di meri fatti familiari in cui sarebbero state coinvolte persone ‹reali›, persone qualsiasi del XVI secolo, e mette in discussione il nostro rapporto con la letteratura e la certezza che abbiamo sull’originalità sia delle opere letterarie sia delle biografie degli stessi scrittori.
La questione dell’originalità si apre anche in Il patrimonio del popolo tedesco. Infatti, viene messa in dubbio l’autenticità del capolavoro della letteratura folkloristica. I personaggi hanno gli stessi nomi dei due fratelli Grimm, Wilhelm e Jakob, figure storiche che hanno raccolto racconti popolari della tradizione orale e hanno così compilato un’antologia che ha avuto un’eco forte sia nella letteratura sia, molti anni più tardi, nell’industria cinematografica (come, per esempio, nei cartoni animati Disney e tanti remake). In questo racconto compare però un terzo fratello, Ludwig, conosciuto nella storia con meno fama rispetto ai suoi fratelli. Nel racconto lui è presentato come malato e relegato a letto e soprattutto come il fratello che scrive delle fiabe che poi farebbero parte del patrimonio letterario di lingua tedesca: «Ma pensate sia facile inventare ancora qualcosa di nuovo utilizzando sempre gli stessi elementi? […] E tutto in tono fintamente popolare secondo le istruzioni di Jakob, no, voi non potete capire quanto sia osceno voler essere ingenui quando l’ingenuità è stata persa da un pezzo […]» (Mari 17). Il solo pensiero alla presenza di un terzo fratello che avrebbe scritto tutti quei racconti già potrebbe riempire il lettore con inquietudine. Tuttavia, la storia diventa molto più terrificante e assume tratti di un racconto fantastico quando alla fine viene rivelato che la vera fonte delle storie è un mostro. Ritorna qui il tema della genesi del testo letterario e dei meccanismi complessi (anche di potere) che ci sono dietro. Invece di una famiglia crudele (e in questo senso mostruosa) che fornisce le idee al futuro scrittore per le sue tragedie, qui le storie sono create però da un vero mostro, Gunther. Potrebbe trattarsi di una rappresentazione metaforica delle fiabe in generale, visto che la prima edizione delle fiabe dei fratelli Grimm conteneva storie dal contenuto angosciante, molto lontane da quelle che siamo abituati a vedere nei film Disney. Oppure può trattarsi dell’alter ego di un fratello pieno di odio per Jacob e Wilhelm che lo tengono rinchiuso, oppure diventa una metafora per l’originalità, cioè l’immaginazione stessa, essa stessa mostruosa, e l’atto di creazione nefando.
Josef K. contiene molti elementi intertestuali, biblici e biografici che si mescolano producendo una storia ibrida. Questo non è un racconto su come si creano le storie, ma su un soggetto di nome Josef, un personaggio topico che appartiene al mondo letterario e allo stesso tempo a quello reale e che cerca il suo creatore, cioè suo padre, in un modo molto pirandelliano. È anche il racconto in cui l’uso di paralessi e metalessi è più evidente, visto che alcuni personaggi sanno quello che non possono sapere (si pensi alla vecchia donna che chiama Josef «Scardanelli» (Mari 30)) e inoltre, il protagonista si fonda su diverse personalità letterarie e reali:
Once he arrives in the village, an "old beggar woman" immediately recognizes him as the son of the old carpenter and finally reveals to him his true double identity: Josef K. is Pino (from Pinocchio), son of Geppetto, from whom he has inherited the "wooden" movements, but he is also the son of Carlo Lorenzini aka "Collodi", the writer and author of Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, from whom he has inherited the anguish (as Kafka accused his father of having transmitted it to him, hence the comparison with Josef K., the protagonist of Kafka's novel Der Process [sic], “The Trial”). At this moment, the bottom-up vertical paralepsis materializes: the old beggar possesses information that does not belong to the diegetic level, but to the extradiegetic one […]. (Remorini 17)
Josef è un ragazzo che fin da bambino subisce una sorta di rifiuto da parte della società a causa dei suoi movimenti troppo legnosi, aspetto che rimanda alla storia di Pinocchio, anche se non si dice da nessuna parte che si tratta di una riscrittura del personaggio di Collodi. È solo una supposizione. Uno dei primi segni di metalessi e intertestualità è l’associazione al poeta Friedrich Hölderlin che verso la fine della sua vita viveva in casa di un falegname di nome Zimmer e si firmava tra l’altro «Scardanelli». La figura letteraria di Pinocchio, che conosciamo dai racconti di Collodi, acquista qui dei connotati del tutto nuovi e un nuovo aspetto. Su più livelli è connesso con la figura di Gesù: i presunti padri di tutti e due si chiamano Giuseppe; la procreazione di Gesù è avvenuta senza atto sessuale e usando la parola sega con il suo significato volgare, Mari allude alla generazione di Josef K. tramite masturbazione; poi il nome Josef K. in cui le lettere iniziali corrispondono foneticamente a quelle di Gesù Cristo. Un’altra allusione legata al nome del protagonista è naturalmente quella che rimanda al Processo di Kafka. L’odio di Kafka contro suo padre e il suo desiderio di uccidersi, ripetutamente espresso, sono altri segni che collegano l’autore al personaggio di Josef K. del racconto di Mari. Questo intreccio su più livelli crea un certo disturbo durante la lettura perché sebbene si riconoscano nomi, ruoli e situazioni, ci si trova davanti a un protagonista ibrido, sconosciuto, sempre sfuggente: uno straniamento che crea disagio.
Così in tutti e tre i racconti Mari utilizza elementi letterari e dati biografici tratti dall’opera e dalla vita di altri scrittori e li combina in modo tale da distruggere ogni sicurezza, aprendo uno spazio scomodo in cui non esiste un confine netto tra realtà e finzione. Appaiono dei protagonisti ibridi che sono il risultato di un rimescolamento di diverse figure letterarie e persone reali e allo stesso tempo viene distrutta l’idea dell’originalità delle opere letterarie, poiché il processo stesso della loro creazione e l’immaginazione propria degli autori sono contrassegnati come mostruosi, o almeno come un’occorrenza quasi inspiegabile.
Il mostro Famiglia
Una famiglia dovrebbe essere un luogo sicuro e protetto in cui un bambino possa maturare. Nella narrativa di Mari invece – come anche in tante altre opere letterarie – la famiglia risulta mostruosa, fonte originaria di ansie, paure e conflitti. Creando famiglie disfunzionali e anomale, Mari demistifica l’idea ottimistica di una famiglia felice e funzionale, presentando un ambiente scomodo e che produce disagio nel lettore.
In La famiglia della mamma abbiamo la madre Mary che, al contrario delle classiche favole edificanti, racconta al figlio delle storie tanto cruenti sulla sua famiglia capaci perfino di scuotere un adulto, figuriamoci un bambino. Le tragedie piene di omicidi e passione umana invece affascinano il ragazzo e la sua ossessione di ascoltarne altre crea un ulteriore livello di orrore. L’unico a interrompere l’insolita narrazione è il padre, il quale osserva sobriamente che la famiglia di sua moglie è mostruosa, una «famiglia di degenerati» (Mari 10), temendo che in futuro il figlio potrebbe commettere gli stessi errori. Il rapporto tra padre e madre è un’altra cosa terrificante di questa vicenda: «Ancora con le tue storie; ma io non ti permetterò!» (Mari 10) Questa aggressività del padre nei confronti della madre in realtà spaventa il piccolo Shakespeare, «se ne stava zitto zitto e spaventato» (Mari 11), e non la madre affettuosa che profeticamente conclude che il ragazzo un giorno potrebbe trasmettere quelle storie al mondo, altro motivo ricorrente di Mari, secondo cui le ossessioni dei bambini continuano nell’età adulta come spiega Mongelli: «Iniziamo dall’infanzia dunque, che è sempre in Mari una fase della vita seria e decisiva per tutto quello che avverrà dopo. L’età adulta è un mero prolungamento temporale in cui ossessioni e compulsioni restano le stesse […]» (Mongelli 35).
Nel racconto Il patrimonio del popolo tedesco abbiamo un’altra famiglia disfunzionale composta da due fratelli, figli legittimi, e un terzo, nascosto in una villa isolata, che scrive favole da pubblicare sotto il nome di Grimm. Il terzo fratello, Ludwig, è isolato dalla civiltà perché suo padre non ha mai voluto riconoscerlo. Jakob in particolare dimostra una mancanza di rispetto verso Ludwig e lo ingiuria con parole molto brutte: «Ingrato [...] razza di pervertito, onanista! Sifilitico! Drogato!» (Mari 16). Solo l’altro fratello, Wilhelm, esprime un po’ di simpatia verso lui, ma solo perché è affascinato dal fatto che trova ispirazione per racconti molto originali e forse anche perché desidera rimediare i possibili effetti dannosi che il comportamento aggressivo di Jakob potrebbe causare.
Josef K. è un racconto in cui Mari vede l’infanzia come un’età della solitudine e sottolinea appunto un concetto di bambino isolato e diverso dai coetanei. L’infanzia è il periodo in cui siamo più suscettibili dell’attenzione o meno da parte dei nostri genitori. Josef, a causa dei suoi movimenti troppo legnosi, viene rifiutato dai compagni e dall’allenatore di calcio, «condusse vita grama ed oscura» (Mari 31), viene anche rifiutato da una ragazza, Lena, per lo stesso motivo. E a quel punto nel protagonista sorge la domanda sulla sua origine e sulla tara ereditaria che pesa sui figli – perché è così? si chiede. E decide allora di intraprendere un viaggio in cerca di suo padre, che non conosce, per comprendere meglio la propria natura. Alla fine della ricerca, che ricorda quella delle fiabe, una vecchia mendicante gli dice che lui è figlio di un falegname di nome Giuseppe. Nasce qui un desiderio forte in un bambino che brama di sfuggire alla sua terribile infanzia e al destino che lo attende: ha sempre desiderato un altro padre perché questo avrebbe potuto significare un destino diverso da quello attuale. L’assenza del padre non ha influito bene sullo sviluppo del piccolo Josef; infatti, è pieno di un’ansia che pensava di poter superare scoprendo le sue radici; un’ansia creatasi proprio per quel lato ignoto della sua vita, per la mancata conoscenza del padre. Tuttavia apprende che la fonte della sua angoscia è Carlo Collodi, così come la fonte dell’angoscia di Kafka è suo padre che, secondo il racconto di Mari, si sarebbe comportato come un dio. Oltre alla già citata connessione tra Josef, Cristo e Kafka, si potrebbe discutere un mondo intertestuale indiretto attraverso un possibile riferimento al romanzo di Mary Shelley, Frankenstein. Come Geppetto, che ha formato Pinocchio, anche Victor Frankenstein ha dato vita a un essere ibrido ma entrambi questi pseudo-padri (Geppetto almeno nella versione di Mari) sono dei padri assenti creando dei mostri che vengono respinti dalla società. Anche il mostro di Frankenstein vaga per il mondo alla ricerca di Victor ma per vendicarsi del suo abbandono mentre Josef cerca una spiegazione e una migliore comprensione di sé stesso.
In questo racconto troviamo anche uno degli elementi principali della scrittura di Mari: L’origine delle nostre paure e insicurezze si trova in un mondo che dovrebbe essere un punto di riferimento, rassicurazione e certezza – cioè la famiglia. Qua nascono i veri fantasmi che sono più terrificanti di quelli che fanno parte del mondo fantastico.
Conclusione
Mari porta inquietudine, incertezza, suspense e paura in questo mondo familiare distruggendolo e demistificandolo, e così crea angoscia e agonia nei suoi personaggi e materia di riflessione per i lettori. Con una conoscenza dettagliata del mondo della narrativa e della psicologia umana, Mari collega tanti elementi conosciuti in modo molto vago e usando strategie narrative come metalessi e paralessi che producono qualcosa di ignoto creando in noi uno straniamento tipico degli autori postmoderni. Costantemente si ha l’impressione che qualcosa ci sfugga, che non riusciamo a interpretare appieno nessuno dei racconti, e che il finale aperto crei disagio. I temi del mondo letterario e familiare vengono rappresentati in maniera insolita. Mari conferma con la sua rappresentazione letteraria una familiarità consolidata nel mostruoso: è una dimensione dei protagonisti. Il familiare viene disegnato una illusione – infatti è proprio il familiare che crea la parte mostruosa in una persona. I due mondi (letterario e parentale) sono ultimamente collegati con l’atto della creazione che qui è funesta. Il creare così diventa un atto indecifrabile, mostruoso e doloroso.
Bibliografia e sitografia
Fonti:
Mari, Michele. Fantasmagonia, Torino: Einaudi, 2012.
Studi critici e dizionari:
Baird, A. Craig, and Thonssen, Lester. Speech Criticism, the Development of Standards for Rhetorical Appraisal. Ronald Press Co, 1948. (Chapter 15: «The Style of Public Address»)
Barbolini, Roberto. La chimera e il terrore: Saggi sul gotico, l’avventura e l’enigma. Milano: Jaca Book, 1984.
Costa, Antonello. «L’atto creativo nella scrittura poetica di Michele Mari.» Insula Europea, 14 dicembre 2020. www.insulaeuropea.eu/2020/05/30/latto-creativo-nella-scrittura-poetica-di-michele-mari/
Mӧllendorff, Peter von. «metalepsis». In: Oxford Classical Dictionary. 28. Oxford University Press, 2018. https://doi.org/10.1093/acrefore/9780199381135.013.8231
Remorini, Paolo. «Mixing the Frames. Horizontal and Vertical Paralepsis as a Meraleptic Tool for Activating the Fantastic Linkage within a Model of Cognitive and Hermeneutical Processes. The case of ‘Josef K.’ by Michele Mari». Zenodo 2022. https://doi.org/10.5281/zenodo.6363553
Mongelli, Marco. «Infanzia e fantasmi: la forma-racconto in Michele Mari». In: Nuova corrente: rivista di letteratura, 157, 1, Novara: Interlinea 2016, pp. 31–39. https://www.torrossa.com/en/resources/an/3142611?digital=true