Giuliano Dolce, Rodolfo Dolce: La mosca bianca. Wie die Migration der italienischen Gastarbeiter die Bundesrepublik veränderte. Menaggio: Villa Vigoni Editore 2019, 101 S., Euro 9,90, ISBN: 978-3966980715
Massimo Ferrini: Der Spaghettifresser. Mein Leben als Kind. Ahrensburg: Tredition 2022 (Selbstverlag), 104 S., Euro 14,95, ISBN: 978-3347547292
Oliver Masucci: Der Träumertänzer. Ein Gastarbeitermärchen. Köln: Lübbe 2023, 253 S., Euro 24,-, ISBN: 978-3431070484
Lorenzo Annese: Vita da Gastarbeiter. Von Apulien zu VW in Wolfsburg. Aus dem Italienischen von Carola Köhler. Bonn: Dietz Verlag, 2022, 208 S., Euro 20,-, ISBN: 978-3801206505
Negli anni 50 la società tedesca e quella italiana si trovavano in una situazione post-dittatoriale con tutti i traumi, le insicurezze e i rischi ad essa commessi. Gli adepti e simpatizzanti del regima nazista e di quello fascista da una parte e i rappresentanti delle giovani democrazie dall’altra si trovavano in chiara contrapposizione e lontani da ogni tentativo di riconciliazione. In Italia la situazione era ancora più difficile perché il fronte tra post-fascisti e partiti della resistenza erano ritenuti volutamente inconciliabili. In Germania d’altro canto si viveva in una fase di profonda riluttanza generazionale nell’accettare le mostruosità del regime nazista. Sotto la presidenza del cancelliere Konrad Adenauer e del presidente del consiglio Alcide De Gasperi i governi democratici cristiani dei due paesi si trovavano a dovere salvaguardare l’unità del paese, per portarne avanti il processo di democratizzazione, ma senza escludere a priori le competenze di adepti e simpatizzanti dei due regimi dalla ricostruzione dello stato repubblicano. In realtà si trovavano a governare in un contesto sociale difficile da gestire, che provocava delle forti reazioni da parte delle opposizioni.
Ciononostante e subito dopo la nascita della Repubblica Italiana, 1946, e della Repubblica Federale Tedesca, 1949, le due giovani democrazie a guida democristiana misero in atto i primi tentativi di riconciliazione, escludendo tacitamente la rielaborazione del loro comune e recente passato, ancora fortemente presente nei due paesi. La rimozione di un passato da alleati prima e da nemici dopo, era in un certo qual modo giustificata da necessità ben prioritarie, ovvero dalla ricostruzione delle strutture istituzionali, amministrative, sociali e culturali, ma soprattutto dell’economia dei due paesi. A questo punto va anticipato, perché richiesto dal contesto, che proprio i primi turisti tedeschi sulle spiagge dell’Adriatico e gli immigrati italiani nell’industria e nell’agricoltura della RFT hanno contribuito e non poco con la loro semplice presenza sul territorio italiano e su quello tedesco ad avviare la riconciliazione tra le due società.
Nel frattempo sono passati 70 anni dall’arrivo dei primi italiani alla stazione di Monaco provenienti da Verona, dove la commissione tedesca ne controllava lo stato di salute, con i treni speciali. Pertanto non può certo destare meraviglia che figli di quei giovani immigrati come Rodolfo Dolce, Massimo Ferrini, Oliver Masucci e Lorenzo Annese abbiano sentito la necessità scrivere delle autobiografie. Nelle quattro autobiografie che vengono presentate di seguito i loro autori sentono lo stesso bisogno che ha spinto Margaret Mead a licenziare la sua autobiografia Brombeerblüten im Winter. Ein befreites Leben, 1972, nel modo seguente: «Questo libro è stato scritto nell’unità familiare dei nonni fino ai nipoti dei nipoti. L’io narrante, che si trova in mezzo, conferisce realtà alle generazioni poste ad entrambi i suoi lati.» (S. 244)
Ed è proprio lo stesso bisogno che spinge Rodolfo Dolce a scrivere i suoi appunti autobiografici ai quali ha dato il titolo emblematico perché riferito al padre: La mosca bianca – Wie die Migration der italienischen Gastarbeiter die Bundesrepublik veränderte, 2019. Così come annunciato nel sottotitolo l’autore assolve la doppia funzione di biografo di sé stesso e di reporter dell’arrivo dei primi italiani nella città di Francoforte. Il racconto si svolge su due piani. Sul primo ricostruisce il suo percorso di vita tra il luogo di nascita in Italia e la sua adolescenza con il padre in Germania. Sul secondo opera da reporter molto attento alla vita quotidiana dei primi italiani a Francoforte e ai cambiamenti avvenuti all’interno della società tedesca dovuti alla presenza degli immigrati. Per le sue osservazioni ha avuto a disposizioni due contesti molto ricchi di eventi quotidiani: il centro italiano, dove suo padre, da medico solidale e impegnato, aveva organizzato uno studio medico essenziale in collaborazione con il consolato italiano, e molti anni dopo il suo studio di avvocato in centro città.
Nell’ultima pagina del racconto autobiografico di Massimo Ferrini dal titolo Der Spaghettifresser – Mein Leben als Kind, 2022, c’è una strana avvertenza ai lettori, che dice: «Se per caso scopre un errore, cosa molto probabile, se lo tenga pure e se lo incornici.» Potrebbe sembrare un concedo spiritoso, in realtà è qualcosa sorprendentemente serio. L’autore invita il suo lettore a concentrarsi sui contenuti autentici del suo racconto autobiografico per evitare di finire nella trappola dell’auto percezione, della maggioranza perfetta e della minoranza deficitaria. L’autore è cosciente del fatto che lui racconta la sua infanzia come una infanzia comune a tanti figli di immigrati della sua generazione e perciò espone in toni pacati e in modo comprensibile quello che di bene e di male gli è capitato durante la sua infanzia ed la prima adolescenza.
Nell’autobiografia di Oliver Masucci Der Träumertänzer. Ein Gastarbeitermärchen, 2023, scritta insieme alla giornalista Karla Woter, il filo conduttore è l’onnipresente conflitto tra padre e figlio, che solo verso la fine della favola da Gastarbeiter sembra quietarsi, o per lo meno fa intravedere, che i protagonisti non sono poi troppo lontani da una possibile riconciliazione definitiva dovuta in parte alla loro età. Partendo dal suo sottotitolo l’autobiografia può essere letta come una descrizione molto intensa di due progetti di vita paralleli e entrambi realizzati e con successo: il giovane immigrato Pino, che inizia da cameriere, lavora senza sosta fino al successo. Insieme alla moglie tedesca preleva un primo ristorante e passo dopo passo si trasforma in un gastronomo molto apprezzato dalla borghesia di Bonn. Il sognatore, ovvero il figlio Oliver, parte da un’infanzia difficile da figlio di un Gastarbeiter e riesce a realizzare il suo sogno, il suo progetto di vita perfino contro la volontà del padre, che agisce da padre e padrone, fino a che il figlio lo stende a terra con un pugno in fronte.
L’autobiografia di Lorenzo Annese si differenzia dalle altre tre per l’arco storico ed il contesto, in cui essa si svolge, ma soprattutto perché il protagonista racchiude in se la memoria storica dell’immigrazione italiana in Germania dagli inizi fino al presente, ovvero dal 1958, anno di immigrazione del protagonista, al 2017, anno di narrazione dell’autobiografia. L’autobiografia si compone di due narrazioni parallele nel tempo e per contenuti. La prima rispecchia quello che si potrebbe definire il lato intimo di ogni biografia ovvero la storia intima del protagonista: l’infanzia e l’adolescenza nel suo contesto familiare e culturale, la scelta di emigrare per sottrarsi ad uno continuo stato di necessità, l’incontro con una giovane donna tedesca, il loro progetto di vita familiare: costruire una casa con le proprie mani e fondare una famiglia interculturale, si direbbe oggi. Il tutto viene arricchito da riflessioni sul proprio divenire da immigrato, sulle continue, ineludibili decisioni, sperando che siano quelle giuste, per integrarsi in un contesto sociale e culturale diverso e sconosciuto; per giungere alla conclusione finale dell’io narrante che il suo percorso di vita non sia stato certamente facile ma sempre autentico, corretto e appagante.
La seconda narrazione è un’esposizione del lungo percorso (1958–1993), che ha portato il protagonista a realizzare e concludere in bene il suo progetto di vita, all’interno della Volkswagen di Wolfsburg, passando da brevissima fase di saldatore e da primo italiano in ditta, a mediatore tra il suo datore di lavoro e gli operai italiani, che arrivano sempre più numerosi, per poi dedicarsi alla sua formazione e al suo continuo impegno di rappresentante ed operatore sindacale. Il tutto animato da un profondo spirito di solidarietà umana prima che sindacale, da un senso di responsabilità verso chi si trova in quelle stesse situazioni di disagio che il protagonista aveva vissuto di prima persona ed imparato a superarle.
Ma l’autobiografia di Lorenzo Annese è molto di più. È un panorama della quotidianità della prima generazione degli italiani in Germania, della loro fluttuazione continua, del suo consolidarsi, delle sue strutture socio-culturali, dei rapporti tra la comunità italiana e le rappresentanze cittadine. Per il suo contesto così ampio e nevralgico è un documento storico fondante per una memoria condivisa.
Che gli autori con le loro autobiografie intendono contribuire alla formazione di una memoria condivisa lo si può dedurre dal fatto che citano i loro figli. Ciò avviene più volte nel corso del racconto da parte di Oliver Masucci, come dedica da parte di Massimo Ferrini e come notizia aggiunta al testo da parte di Rodolfo Dolce. Lo fanno proprio perché si vedono come «l’io narrante nel mezzo,» che ha il compito, di documentare la memoria personale e familiare, che lo attraversa, per «conferire realtà alle generazioni precedenti e a quelle seguenti» (loc. cit.).
Nel contesto dell’immigrazione italiana le quattro opere e tutte le altre che vanno in tale direzione svolgono una funzione molto preziosa. Esse illustrano modelli di vita positivi e di successo, ai quali si possono orientare le generazioni a venire, per definire il loro progetto di vita e per far crescere la fiducia in sé di cui si ha bisogno per realizzare ogni tipo di progetto. Dal modo in cui i protagonisti delle biografie superano esperienze negative e difficili, da figli di Gastarbeiter, risulta che la fiducia in sé si costruisce affrontando le contrarietà e contrattaccando ogni volta che qualcuno tenta di sbarrarci la strada.
Se con il tempo tali percorsi di vita da immigrati si sommeranno in una memoria condivisa non dipende certamente dalle prestazioni della prima generazione e dei loro immediati discendenti. Dipenderà piuttosto da cosa accadrà nel futuro della società della repubblica federale, ma anche dalla disponibilità pubblica, di concepire la storia degli immigrati come una costante della storia del paese, ed in fine dal come i loro discendenti si comporteranno nei suoi confronti.