Horizonte Ausgabe 8 Titelkunst
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Paul Klee e la luce del Sud

Lisa Bachis

Un artista fuori dagli schemi

Paul Klee (Münchenbuchsee, 1879 – Muralto, 1940) è tra i maggiori esponenti della corrente dell’astrattismo nel primo Novecento. Eclettico, effervescente e poliedrico, qualunque sia stata la disciplina che lo ha visto coinvolto, è stata affrontata e vissuta con positivi riscontri, umani e intellettuali. Ma è nella pittura che Klee trova piena realizzazione del suo essere al mondo. Cresciuto in un ambiente in cui la musica è onnipresente, numerosi suoi dipinti possiedono le caratteristiche della partitura musicale.

Klee ha la grande opportunità di venire in contatto con diversi grandi maestri, ma opera sulla pittura secondo una visione assai originale, in cui insieme alla musica, all’armonia magica dei numeri e delle linee, subentra pian piano l’interesse e l’avviluppamento nella gradazione luminosa. Entra a far parte del celebre gruppo «Der Blaue Reiter» («Il Cavaliere Azzurro»), che si inserisce all’interno della più larga corrente dell’espressionismo tedesco. Molto della vita di questo straordinario artista ci è noto attraverso i Diari, guide preziosissime lungo tutta l’esistenza di Paul Klee; dai vari spostamenti tra Svizzera e Germania, al servizio militare durante la Prima Guerra Mondiale, alla malattia, senza mai cessare la sua ricerca sulla luce.

fig. 1: Klee insegna anche presso il e nella foto proposta sono immortalati, da sinistra a destra: Josef Albers, Hinnerk Scheper, Georg Muche, László Moholy-Nagy, Herbert Bayer, Joost Schmidt, Walter Gropius, Marcel Breuer, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Lyonel Feininger, Gunta Stölzl e Oskar Schlemmer.1

La scuola tedesca si distingue per aver dato accesso a un approccio moderno e unificato di architettura, arte e design dove Klee insegna insieme a Wassily Kandinsky e Lyonel Feininger, tra i pionieri dell'arte moderna e anch’essi membri di «Der Blaue Reiter». Il Bauhaus ha un impatto significativo sul lavoro di Klee. Infatti gli è da sprono per concentrarsi sulla teoria del colore, incorporando le forme geometriche, le linee rette e le curve.

Nel Diario III, in merito alla sua amicizia con Kandisky annota:

È una spiccata personalità, una bella intelligenza con idee assai chiare. Ci incontrammo per la prima volta in un locale pubblico della città, quando vi fu di passaggio, ed erano presenti anche Amiet e sua moglie. Durante il ritorno a casa, in tram, ci proponemmo di rivederci spesso. Nel corso dell’inverno mi unii poi al suo «Blauer Reiter».2

Il sindaco di Dessau, Fritz Hesse, e il suo consulente culturale Ludwig Grote hanno permesso a Gropius di trasferire la scuola a Dessau, dove il Bauhaus viene ricostruito tra il 1925 e il 1926, su progetto di Gropius, e riconosciuto come Università statale di Anhalt nel 1926. Ludwig Grote (1893–1974) elogia euforicamente il Bauhaus nel libro che accompagna la mostra da lui curata su «Die Maler am Bauhaus» («I pittori al Bauhaus»). L’esposizione, da maggio a giugno del 1950, si svolge alla «Haus der Kunst» di Monaco. A proposito di Klee scrive:

[…] Paul Klee dimostra di avere a disposizione tutti i gradi dell’astrazione: egli è il maestro che maneggia la pittura nel modo più precoce e più ponderato. Espressionismo, Cubismo, Astrattismo e Surrealismo, egli accoglie tutte le forme figurative dell’arte moderna senza perdere alcunché della sua personalità. Tutti sono stimoli al suo spirito per il giuoco creativo [...]3

fig. 2: Nella foto sopra infatti, sono ripresi alcuni momenti della lunga amicizia tra Paul Klee e Wassily Kandinsky. Qui siamo nel 1929 a Dessau.4

Klee e i viaggi in Italia

L’artista soggiorna in Italia sei volte. La prima volta, nel 1901, seguendo come filo conduttore le riflessioni di Goethe e Burckhard, e visitando Roma, Napoli e Firenze.

La critica e curatrice Lia Pardi, in occasione della mostra del 2012 «Paul Klee e l’Italia», tenutasi a Roma presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna5 , per introdurre ai motivi dei viaggi così si esprime:

Farà ritorno nel nostro paese dapprima in Sicilia, nel 1924 (Mazzarò) e nel 1931, poi all’isola d’Elba (Costruzione portuale) nel 1926, a Viareggio nel 1930 e, infine, nel 1932 a Venezia. Durante questi viaggi visita anche Milano, Genova, Padova, Firenze, Ravenna, Pisa, l’amata Napoli e tutte le principali città siciliane. Ognuna di queste tappe gli ispira nuovi spunti di studio e in alcuni casi anche svolte stilistiche, come la fase «pointilliste» suggeritagli dalla visione dei mosaici bizantini di Ravenna (Croci e colonne, 1931). Nei quattro decenni di attività artistica Klee ha così sviluppato quattro approcci differenti all’Italia. C’è la fase di studio dell’arte classica nei primi anni del Novecento, c’è il confronto con il futurismo negli anni Dieci, ci sono le vacanze durante gli anni Venti, quando il ruolo di insegnante il Bauhaus gli consente dei regolari viaggi all’estero, c’è infine la ricreazione nostalgica di quel Sud mediterraneo, che la sclerodermia insorta nel 1935 gli impedirà di raggiungere ancora una volta. La fortuna critica dell'artista in Italia, che prende il via soprattutto dalla sua partecipazione alle Biennali di Venezia, e le tante suggestioni e derivazioni della sua opera riscontrabili in molti artisti italiani, fanno di Klee uno degli artisti più interessanti nello scambio poetico-culturale-formale europeo del Novecento.

Klee e l’arte come allegoria della Natura

Klee non può essere ascritto a un unico movimento artistico. La continua ricerca di sé, di ciò che intende nell’esserci al mondo e per gli altri, lo conduce ai noti ripensamenti riguardo alla scelta della professione, combattuto se prediligere pittura, musica o poesia. La vocazione e l’accettazione destinale sono suggellate di ritorno dal viaggio in Tunisia, nel 1914. Paul Klee ne I Diari accoglierà consapevolmente la pittura, con queste parole: «il colore mi possiede. Io e il colore siamo tutt’uno: sono pittore».

Una promessa fatta a se stesso. L’impegno e la presa di coscienza di quanto sia espresso in merito alla verità nel colore, e più nello specifico, nella potenza vivifica della luce. Attenzione, non una luce qualsiasi, ma la primigenia luce del Sud. Se è corretto affermare che vi è da parte dell’artista un uso assai singolare del colore e che l’impiego delle tecniche e dei materiali pittorici quali: acquerelli, disegni, acqueforti, dipinti a olio su cartone o su tela, dipinti sotto-vetro, l’universo simbolico dell’arte di Klee è illuminato, abbacinato sarebbe meglio, dalla esperienza quasi metafisica con la luce, che pone al centro la fondamentale importanza dell’uomo come essere finito, in un mondo in cui la natura non è oggetto ma contesto in cui si svolge la vita secondo una visione presocratica, la quale sarà riscoperta, e riadattata alle esigenze della società del XX secolo tra le due guerre mondiali, da filosofi come Heidegger, Gadamer, financo a Benjamin. Il fatto che Klee avesse conoscenza di poesia, musica, scienza e matematica, lo fa apparire come un novello presocratico, immerso nella realtà in cui vive. Tra i dati ricorrenti nella sua opera ci sono sia i simboli musicali, sia gli elementi naturali stilizzati; vi è la presenza dei numeri, delle lettere e degli ideogrammi orientali. Un percorso alla strenua ricerca del tutto che unisce: il cuore della creazione ovvero l’essenza creativa, immersa nella luce del Sud.

Nel Diario III, Klee descrive il potere della luce:

Ridurre! Si vuol dire di più della natura stessa, si commette il grave errore di volersi esprimere con mezzi superiori ai suoi, anziché con meno. La luce e le forme razionali prendono parte alla lotta. La luce dà moto alle forme, incurva ciò che è diritto, rende ovale ciò che è parallelo, inserisce cerchi negli spazi intermedi, dà loro vita. Da ciò l’inesauribile varietà.6

fig. 3: Paul Klee, Hammamet, 1914.

L’artista non copia la natura, si ispira alle forme naturali per far deflagrare un nuovo mondo figurativo. Il legame che insiste tra natura, artista e opera viene definito durante la conferenza tenuta da Klee a Jena nel 19247 :

Permettetemi di ricorrere ad un paragone, il paragone con l’albero. […] L’artista si trova dunque nella condizione del tronco. Incalzato e commosso dalla possanza di quel fluire, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto. E come la chioma dell’albero si dispiega in ogni senso nello spazio e nel tempo, così avviene con l’opera. Nessuno vorrà pretendere che l’albero la sua chioma la formi sul modello della radice. […] E dire che, nel luogo assegnatogli, quello del tronco, egli non fa altro che raccogliere e trasmettere ciò che viene dal profondo. Né servo né padrone, egli è solo mediatore. Occupa dunque una posizione davvero modesta. E non è lui la bellezza della chioma, questa è soltanto passata attraverso di lui.8

Sempre in merito alla interazione tra artista, natura e opera, in un silenzioso dialogo tra il bernese e Benjamin, Klee prosegue:

per cui egli contempla le cose, che la natura gli pone sott’occhio già formate, con sguardo penetrante. E quanto più a fondo egli osserva, tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto di vista dall’oggi allo ieri; tanto più gli s’imprime nella mente, al posto di un’immagine naturale definita, l’unica, essenziale immagine della creazione come genesi. Egli allora si permette anche il pensiero che la creazione oggi non possa dirsi ancora conclusa, e con ciò prolunga quell’atto creativo del mondo dal passato al futuro, conferendo durata alla genesi.9

Si è qui innanzi a un itinerario mistico dell’arte – una lettura non ortodossa – che conduce Klee ad asserire degli artisti: «eletti sono coloro che oggi si spingono in prossimità di quel fondo segreto, ove la legge primordiale alimenta ogni processo vivente»10 . Le forme dell’arte quindi «non riproducono soltanto, ciò che si è visto, ma rendono percepibili occulte visioni»11 .

Il 15 gennaio del 2013 «Sky Arte» propone il focus, L’enigma del paesaggio. Il Mediterraneo di Klee, in concomitanza con l’esposizione delle opere di Klee in Italia, alla GNAM di Roma. Nella scheda introduttiva, vi sono contenute le linee guida del percorso di Klee:

È stato il più mediterraneo tra gli artisti del nord; letteralmente sedotto dal fascino di paesaggi disegnati dalla luce del sole, generosi e insieme enigmatici. Ha viaggiato a lungo, imparando a conoscere i misteri dell’Egitto e le sensuali atmosfere dei suk tunisini; ma soprattutto gli angoli più affascinanti del Belpaese, […] sei viaggi compiuti dal maestro in Italia: dal primo soggiorno a inizio Novecento, quasi fosse un romantico Grand Tour, fino alla visita di Venezia nel 1932. In mezzo diverse tappe nella Magna Grecia, con particolare riguardo alla Sicilia, e in Versilia; ma anche i doverosi passaggi nelle principali città. Su tutte l’amatissima Napoli. Sedotto dai caldi paesaggi meridionali, Klee lascia che la propria tavolozza si arricchisca delle sensazioni e delle suggestioni di un sud ancora in parte selvaggio, decisamente autentico. […] L’Italia ha dato molto a Paul Klee, altrettanto ciò che il pittore le ha restituito. Ispirando artisti come Osvaldo Licini e Achille Perilli, in mostra accanto a Kandinsky e Moholy Nagy: un ponte tra nord e sud Europa, sorretto da profondità e acutezza di sguardo, capacità di leggere in modo attento la contemporaneità e il suo debito nei confronti del passato. Una lezione fondamentale, testimonianza preziosa per l’arte di domani.

A proposito di Achille Perilli – l’artista citato nell’approfondimento di «Sky Arte» – nel 1947, insieme a Carla Accardi, Ugo Attardi, Piero Consagra, Piero Dorazio, Lorenzo Guerrini, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato, fonda il gruppo «Forma 1», il primo a seguire la cultura dell’astrattismo in Italia e in Europa nel Dopoguerra. L’artista, morto a Orvieto nell’ottobre del 2021 all’età di 94 anni, può annoverarsi tra i maestri dell’Astrattismo italiano.

Nella rivista Civiltà delle Macchine, del 195512 , Perilli propone un autorevole ritratto di Paul Klee:

Una coscienza troppo ‹continua›, spesso ho temuto possa collegare troppo logicamente il nostro futuro al passato; impedire il divenire. Solo la notte e il sonno consentono le metamorfosi; senza l’oblio nella crisalide, il baco non potrebbe diventare farfalla. (Journal Bibliothèque de la Pléiade, pag. 982). La frase è di Gide, ma Klee avrebbe potuto usarla come commento alla sua pittura. Nel grande processo, in corso di svolgimento, per rintracciare i più sottili legami che uniscono l’uomo e gli infiniti aspetti della realtà, a fianco dei filosofi, dei matematici, dei poeti, un giorno troverà il suo posto Paul Klee, il pittore che più di ogni altro seppe anticipare questo stato d’animo, e soprattutto rivelarlo attraverso le sue opere. Non è più il rapporto che intercorre tra l’uomo e lo spazio, come nella pulita prospettiva del Rinascimento, né il primo incredulo riconoscimento del tempo dei cubisti, ma qualcosa di più profondo, al di là dell’oggetto, oltre i termini del razionale, oltre ogni confine. Sentirsi elemento del cosmo e avvertire in sé qualcosa che è ancora cosmo produce quell’incontro tra poesia e pittura che è la sintesi raggiunta da Klee. «Essere poeta, questa scoperta non dovrebbe costituire ostacolo nel dominio plastico» egli scriveva nel suo diario, deducendone che «forma e concezione del mondo debbono fondersi insieme». Quanto fosse complesso il mondo della sua ispirazione, lo possiamo dedurre da un saggio pubblicato nel 1923 col titolo «Studio della natura e suoi mezzi». Klee vi tracciava il diagramma di un quadrato comprendente l’artista, l’oggetto, la terra e il mondo. Egli considerava il dialogo con la natura, poiché la sua unione con questa era sempre stata strettissima, una questione fondamentale: «L’artista è uomo, è lui stesso natura, un frammento di natura nel dominio della natura.» Ma la strada fisica e visuale fa parte del passato e l’artista contemporaneo ingrandisce l’oggetto incorporandone lo spirito, le azioni (anatomia), le funzioni vitali (psicologia), le leggi della sua esistenza (biologia) e finalmente l’accordo terrestre e cosmico, vale a dire i rapporti con la terra e gli astri, scelti ed espressi dall’intuizione (abbarbicamento terrestre e comunità cosmica, staticità e dinamismo, pesantezza e volo). È dunque una sintesi della visione esteriore e della visione interiore; relazione totale tra l’io e il mondo. Così possono nascere delle configurazioni che «differiscono totalmente dall’immagine di un oggetto e che tuttavia nella prospettiva della totalità non lo contraddicono», per usare ancora parole di Klee. E un dichiarazione poetica che chiarisce i molteplici legami e le ambizione del pittore. La conoscenza del dato reale non procede per lui solo in maniera meccanica, ma anche intuitivamente. […] Il processo attraverso il quale Klee giunse a poter definire esattamente le sue intenzioni fu lento e laborioso, senza scatti improvvisi, con la sola costante del lavoro metodico. Klee ebbe in tutta la vita un continuo interesse per la musica. […] Questa fu per lui qualcosa di più di un semplice diversivo nelle ore di riposo: e non si potrà forse dare un giudizio preciso sulla sua opera se non si terrà presente quanto la musica sia stata intimamente presente al suo formarsi culturale e quanto lo abbia ispirato, seppure indirettamente. Il processo di liberazione o meglio di affermazione della personalità di Klee è intimamente collegato all’evolversi del suo gusto musicale. […] Solo nel 1914 Klee scriverà, a Tunisi, «il colore mi possiede». Il viaggio a Tunisi è un altro dei punti chiave nello sviluppo dell’opera di Klee. E qui Klee ebbe come una rivelazione: «Io abbandono il lavoro. Le cose mi prendono con pienezza e dolcezza, io le sento e questo mi dona sicurezza, senza sforzo. Il colore mi possiede. Non ho bisogno di corrergli dietro. Mi possiede per sempre, io lo so. E il senso di quest’ora fortunata, io e il colore siamo un tutto unico. Io sono un pittore». […] Il 25 novembre 1920 il Bauhaus, che Gropius aveva fondato a Weimar, gli indirizzò un telegramma: «Caro Klee, all’unanimità le chiediamo di accettare una cattedra di pittura al Bauhaus: Gropius, Feininger, Engelmann, Marcks, Muche, Itten, Klemm». Iniziò così un periodo ricchissimo di esperienze e di lavoro. Furono anni intensi, complessi, pieni di polemiche. L’uscire dall’isolamento e dal lavoro solitario di studio per entrare in una collettività come il Bauhaus fu per Klee qualcosa di più di una nuova esperienza: soprattutto un arricchimento umano, una maggiore capacità di penetrare l’essenza delle cose e insieme l’inizio di una più rigorosa sistematizzazione della propria poetica. Il vivere a contatto di lavoro con personalità di carattere differente allargò considerevolmente il cerchio dei suoi motivi e facilitò le ricerche tecniche di nuovi procedimenti. Il dissolversi del Bauhaus coincise quasi con il suo desiderio di limitare il lavoro esclusivamente alla pittura. Il contemporaneo riconoscimento da parte della critica e dei collezionisti del valore della sua opera gli permise di ritirarsi a Berna e contare solo sulle vendite. Sono gli ultimi anni di una vita completamente votata alla propria professione, senza nessuna dispersione e nessun pentimento. Klee ha ormai raggiunto quanto desiderava e può considerare serenamente riconoscimenti e ingiurie. Quando nel 1933 sarà duramente attaccato dai nazisti con l’appellativo di «ebreo» e «straniero» scriverà alla moglie: «Fare qualcosa contro delle ingiurie cosi grossolane mi sembra indegno di me. Anche se fosse vero che io sono ebreo e originario della Galizia questo non cambierebbe per nulla il valore della mia persona e della mia opera. Un ebreo o uno straniero non sono necessariamente inferiori ad un tedesco. Io non ho il diritto di abbandonare questo punto di vista, senza correre il rischio d’immortalizzarmi per il ridicolo. Preferisco accettare questi mali piuttosto di giocare il ruolo tragicomico del personaggio che cerca di guadagnare il favore dei potenti.» Nel 1935, con i primi sintomi del male che l’ucciderà, entrò nella sua pittura la sensazione della morte: ossessiva, continua, la sua ispirazione andava perdendo il carattere di narrazione, di suggerimento, di leggera ironia, acquistando quell’estrema lucidità che gli consenti di giungere al tragico. Il 20 giugno 1940 alle 7,30 del mattino Klee morì in seguito ad una paralisi al cuore. Sulla tomba, in un piccolo cimitero, fu messa una frase che è quanto di più preciso si possa dire di Klee, poche parole scritte da lui stesso ventiquattro anni prima nel suo diario: «Io sono inafferrabile. Mi trovo bene sia vicino ai morti che accanto agli esseri non ancora nati. Sono vicino al cuore della creazione più di quanto è solito. E tuttavia non quanto lo vorrei.»13

Klee e Taormina

Il 1924 si caratterizza per alcuni momenti significanti nella vita dell’artista bernese: la prima esposizione negli Stati uniti e precisamente a New York; la fondazione del gruppo «Die Blaue Vier» a Weimar con Kandisky, Feininger e Jawlensky per opera di Emmy Galka-Scheyer; il viaggio in Sicilia con le tappe a Taormina, Siracusa e Gela, infine la conferenza sull’arte moderna tenuta a Jena e pubblicata nel 1945, post mortem.

Il fatto che sia un anno denso di attività, denota la compiutezza del percorso di Klee e la consapevolezza che la ricerca è giunta a un punto cruciale: la natura e la luce sono parte indissolubile del tutto e vanno rese quali metafore del vivere. Una visione mistica, a tratti alchemica, permea il lavoro di Klee. La Sicilia dunque, così come già Goethe aveva esplicitato, è un testo dai molteplici sensi e il linguaggio dell’arte è ‹interpretazione e traduzione› per dirla con Benjamin, che di Klee era appassionato estimatore. In una lingua di segni, forme e colori intessuti di luce, la natura e l’uomo in essa e le cose dicono, non rappresentano. Ciò che resta in ombra, nella luce che sovrasta, viene tutelato e protetto. Goethe prima, Klee dopo, comprendono che la luce di Sicilia e del Mediterraneo, preservano il non detto e l’ombra, dove riposa l’essenza della vita stessa. Non a caso solo i bambini, gli angeli e i folli, liberi dalle impalcature del giudizio, hanno l’immediata ispirazione del sapere poiché intuiscono, non elucubrano.

Vi sono opere di Klee, realizzate a Taormina e in particolare a Mazzarò, una delle località a mare – un tempo zona di pescatori in cui si conservano ancora delle barche –, che oggi è una delle frequentazioni turistiche più ambite insieme alla vicinissima Isola Bella; le divide un promontorio. Goethe vi sosta; Klee vi soggiorna. Tra queste opere vi è «At Taormina», detta anche «Taormina, Scirocco», un acquerello su carta tedesca Ingres, oggi conservato nel Zentrum Paul Klee di Berna14 . Questo lavoro è noto anche come «Bei Taormina».

Nell’opera, riprodotta in basso, gli elementi naturali si armonizzano con quelli antropici; i colori sono morbidi e rammentano nostalgie di qualcosa inespresso e tenuto nell’inconscio. In una giornata in cui i grigi dovrebbero mordere il circostante, Klee ci regala il calore del sole e i verdi dei fichi d’India. L’ocra, il giallo e il rosa sono quasi impalpabili e le linee meno nette del solito. Si predilige la curva, il sinuoso. Sa molto di nido, di luogo in cui essere protetti e poter respirare l’origine, rischiarati da una luce che carezza, ingentilita dalla brezza.

fig. 4: Paul Klee, Bei Taormina, 1924.

Vi è anche un secondo acquerello dal titolo, «Mazzarò»15 , sempre del 1924, riprodotto in basso. Qui l’impostazione ammicca a una resa più classica dell’arte figurativa. Il posto appare come il cortile di una casa, l’accesso dato dagli scalini e il cancelletto aperto, forse nella scalinata del Castelluccio. Una colonna e delle anfore richiamano i resti del Teatro Antico, magari entrati a far parte di una collezione privata come del resto è accaduto in diverse circostanze. La vegetazione è curata e rigogliosa: il pino marittimo al centro della scena, cespugli di oleandro non ancora fiorito, fiori di ginestra(?), piante grasse. I colori in cui le varie sfumature del blu e dei verdi appaiono più piene sembrano suggerire una giornata primaverile. Vi è la chiara evidenza dell’interesse a inseguire la luce e le sue fasi. Pur mostrandosi più cupa la brillantezza intorno, la vivacità dei colori non ne soffre e genera una atmosfera intima e ovattata.

fig. 5: Paul Klee, Mazzarò, 1924.

Nei Diari, è delineata la via alla continua ricerca della luce dell’origine, e della radice del dire. Una strada in cui la sinfonia dell’universo lo accompagnerà sino alla fine. A sostegno di ciò, nella prefazione al testo italiano, Giulio Carlo Argan scrive:

Klee era anche un musicista e un musicologo; e più di un aspetto della sua pittura e della sua grafica, a cominciare dalla qualità rara e perfetta, si spiega riflettendo che le sue immagini, prima di fissarsi nel colore e nel segno, erano passate, filtrandosi, per lo stadio della nota e della parola. Ma anche si spiega perché il diario s’interrompa proprio quando incomincia la fase della più impegnata e costruttiva ricerca pittorica, come se ormai la determinazione e la vivificazione dell’immagine non avessero più bisogno del riscontro o del sostegno biografico. […] Tra le due fasi è lo sgomento, il ribrezzo della guerra 1914–18; e sarà l’ansia di una ricostruzione della coscienza del mondo sui valori autentici dell’essere che aprirà a Klee a prospettiva di un universo nel quale l’individualità non sia più che un punto luminoso e certo, anche se in continuo movimento. Fino a quel momento il motivo unitario è la vita o un favoloso mito della vita; e il diario, nel quale si decanta l’esperienza della vita, adempie alla funzione che avrà poi, su un altro piano, la teoria. […] Al diario, dunque, è affidata la giustificazione del carattere segretamente autobiografico della pittura e del disegno. […] Non è del resto un’esistenza vissuta, quella che si decanta nel diario, ma un’esistenza che si è voluta vivere. Klee cresce e si forma nell’ambiente eccitato, vitalistico e dionisiaco, dei primi anni del secolo: legge Nietzsche, suona Wagner, ha un senso panico della natura e della vita. […] Ma allora il vivere non è fine, è mezzo; e poi si scopre che l’arte non è propriamente la vita, ma qualcosa che nasce dalla sua consumazione. Ci si sente vivere come il malato di cuore sente il battito sotto le costole, ed è già sintomo di malattia, se non presentimento e angoscia di morte.16

Questa lettura di Argan introduce alla scrittura biografica di Klee e consente di entrare dentro al cammino dell’artista, mostrando il senso e il sentimento del viaggio in Italia e a Sud, che – come in precedenza già detto – lo mette in comunione con Goethe:

La strada dell’ironia o della sottigliezza non è la strada principale, ma è tuttavia la strada del nord, attraverso la quale Klee si collega a Bosh, a Bruegel; la strada del sud, l’aspirazione alla classica pienezza e chiarità della forma, lo porta in Italia. […] L’Italia è il paese della natura amica, che non tenta ma salva […]17

Lo dice lo stesso Klee, nel Diario I, cosa intende trovare quando annota: «Il moto della natura è per me stimolo all’azione, alla ricerca di esperienze di vita, anzitutto. Desiderio urgente di peregrinare, di evadere verso una terra remota, verso una primavera. Avanti, sempre avanti!»18

E ancora: «Mi rafforzo sempre più nell’opinione che la cosa migliore per me è fare il pittore. All’infuori della pittura, solo l’arte della parola mi affascina. Forse, giunto a piena maturità, me ne servirò ancora.»19 Klee sa che affidare queste impressioni appartiene al tempo dell’uomo e non all’opera d’arte. Il suo desiderio di rifondarsi come uomo, non può prescindere dalla scesa al Sud, che diviene anelito e speranza di trovare una comune radice.

Nel Diario III scrive:

In Italia ho compreso l’architettonica dell’arte figurativa (oggi direi il costruttivo). Ero allora vicinissimo all’arte astratta. Ora la meta prossima, e a un tempo la più remota, sarà di far armonizzare la pittura architettonica con quella poetica, o per lo meno di evitarne la dissonanza.20

Un itinerario che è accompagnato dal segno, dal Linguaggio tout court, dal lampo di luce e dalla magia della parola, in equilibrio con l’esistere.

Le vie della Natura immerse nella luce gettano un ponte tra l’umano e il divino

Il saggio «Wege des Naturstudiums» fu pubblicato prima in Staatliches Bauhaus Wiemar 1919–1923, edito dal Bauhaus a Weimar, e da Karl Nierendorf, Köln, Bauhausverlag, Weimar-München 1923. Qui invece è contenuto nella raccolta Confessione creatrice e altri scritti21 .

Lo si prende in considerazione per alcuni spunti interessanti come nell’incipit in cui Klee scrive: «Il dialogo con la natura resta, per l’artista, conditio sine qua non. L’artista è uomo, lui stesso è natura, un frammento di natura nel dominio della natura.»22 Qui vi è un’ulteriore conferma per quanto esposto sino adesso sul viaggio alchemico e di conoscenza kleeiana, ribadendo che l’artista è «creatura terrestre e insieme creatura nell’ambito del tutto – creatura vivente su un astro tra gli astri»23 .

L’artista conclude poi con una dichiarazione che è la sintesi del suo pensiero:

Lo studioso, mediante l’esperienza raccolta lungo le diverse vie e da lui convertita in lavoro, ha le carte in regola per stare al di là del livello raggiunto nel suo dialogo con l’oggetto naturale. L’essersi sviluppato nell’intuizione e osservazione della natura lo autorizza, a mano a mano che si protende verso la visione del mondo, alla libera figurazione di immagini astratte, le quali attingono, trascendendo il voluto e lo schematico, una nuova naturalezza, la naturalezza dell’opera. Egli crea allora un’opera oppure partecipa alla creazione di opere a immagine e somiglianza delle opere di Dio.24

Un dialogo quello di Klee, con il Tutto, intriso di una visione panica che si ravvisa sino in fondo, nonostante le fratture procurate all’essere uomini, dalle due guerre, e dagli stravolgimenti dello stare al mondo. Un confronto con la natura, con il finito-mortale e il divino, che permea il pensiero intellettuale dalla fine della «Belle Epoque» al periodo post Prima e Seconda Guerra Mondiale. Una visone profetica del divenire in cui la luce disegna contorni e copre macerie. La luce del Sud in tal senso è unica, essa preannuncia ciò che è all’uomo «invisibile agli occhi», parafrasando Rilke.

Luce e ombra, parola e silenzio: un viaggio che è dell’arte e della filosofia. Una estetica ma non una metafisica nel suo modus tradizionale. L’oltre è nel mondo e tra gli uomini, riunisce Klee e Nietzsche; è l’oltre uomo, che è uomo nuovo, sorto dai detriti dei conflitti ma vivo. Essere che sa vivere e ha accettato la propria finitezza. L’artista, che indaga sulla luce giusta, somiglia un poco al fotografo: non imita la natura ma ne coglie frammenti o porzioni. È la luce che consente al colore di presentarsi o soffocare nei chiaroscuri del bianco e del nero.

Klee non solo ha aperto un nuovo senso per l’arte, e per il linguaggio, ma ha restituito dignità alla luce del Sud, tanto preziosa per gli antichi fondatori della civiltà occidentale. Lui, l’uomo e l’artista, è stato quel medium tra i morti e i non nati, pulviscolo in una scia di luce: quella del Sud.

Bibliografia

Ludwig Grote, «Paul Klee» in Die Maler am Bauhaus (I pittori al Bauhaus), edito nel 1950, edizione italiana del 1954.

Paul Klee, Diari 1898–1918, titolo originale Tagebücher von Paul Klee 1898–1918, M. Dumont Schauberg Verlag, Köln, 1957; traduzione italiana a cura di Alfredo Foelkel, prefazione di Giulio Carlo Argan, nota di Felix Klee, il Saggiatore, Milano, 2010.

Paul Klee, Confessione creatrice e altri scritti, tradotto da Francesco Saba Sardi e pubblicato per Abscondita, Milano, 2004.

Paul Klee, Lettere dall’Italia (1901–1902), tratte dal volume Briefe an die Familie, 1893–1940, prefazione di Anne-Sophie Petit-Empatz, traduzione italiana di Carlo Mainoldi, Archinto editore, Milano, 2005.

Lia Pardi, «Paul Klee e l’Italia», in Lia Pardi Comunicazione, articolo del 25 novembre 2012.

Achille Perilli, «Paul Klee», in Civiltà delle Macchine, settembre–ottobre 1955, anno III, n. 5, Fondazione Ansaldo-Archimondi.

Sky Arte, L’enigma del paesaggio. Il Mediterraneo di Klee, approfondimento del 15 gennaio 2013.

Indice delle figure

fig. 1: Insegnanti della scuola Bauhaus. Nella foto proposta sono immortalati, da sinistra a destra: Josef Albers, Hinnerk Scheper, Georg Muche, László Moholy-Nagy, Herbert Bayer, Joost Schmidt, Walter Gropius, Marcel Breuer, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Lyonel Feininger, Gunta Stölzl e Oskar Schlemmer. La foto pubblicata per gentile concessione del «Bauhaus Archiv», è stata estratta da:
https://www.barnebys.it/blog/6-cose-da-sapere-su-paul-klee

fig. 2: Paul Klee e Wassily Kandinsky. Qui siamo nel 1929 a Dessau. La foto potrebbe essere stata scattata da Nina Kandinsky e si trova nella Bibliotheque Kandinsky, MNAM CCI, presso il Centre Pompidou. La foto è stata estratta da:
https://artslife.com/2016/06/21/kandinsky-e-klee-unamicizia-raccontata-attraverso-le- opere-darte/

fig. 3: Paul Klee, Hammamet, 1914 – Opera dipinta e ispirata al viaggio in Tunisia. L’immagine è stata estratta da:
https://www.barnebys.it/blog/6-cose-da-sapere-su-paul-klee

fig. 4: Paul Klee, Bei Taormina, 1924; acquerello su carta tedesca Ingres, oggi conservato nel Zentrum Paul Klee di Berna, realizzato durante il soggiorno in Sicilia, nella tappa a Taormina. L’immagine è stata estratta da:
https://www.copia-di-arte.com/a/paul-klee/beitaormina1924220-2.html

fig. 5: Paul Klee, Mazzarò, realizzato nel 1924 durante il soggiorno in Sicilia, nella tappa a Taormina. Il dipinto si trova presso il San Francisco Museum of Modern Art. L’immagine è stata estratta da:
https://liapardipress.blogspot.com/2012/11/paul-klee-e-litalia.html

  1. La foto è pubblicata per gentile concessione del «Bauhaus Archiv».
  2. Paul Klee, Diari 1898–1918, titolo originale Tagebücher von Paul Klee 1898–1918, M. Dumont Schauberg Verlag, Köln, 1957; traduzione italiana a cura di Alfredo Foelkel, prefazione di Giulio Carlo Argan, nota di Felix Klee, il Saggiatore, Milano, 2010; Diario III, autunno 1911, 903, p. 273.
  3. Ludwig Grote, «Paul Klee» in Die Maler am Bauhaus (I pittori al Bauhaus), München: Prestel 1950, (edizione italiana del 1954).
  4. La foto potrebbe essere stata scattata da Nina Kandinsky e si trova nella Bibliotheque Kandinsky, MNAM CCI, presso il Centre Pompidou.
  5. L’esposizione, inaugurata nel 2012, ha visto esposte le opere di Klee sino al 27 gennaio 2013. https://liapardipress.blogspot.com/2012/11/paul-klee-e-litalia.html
  6. Ivi, anno 1908, 834, p. 237.
  7. La conferenza fu tenuta da Klee in occasione di una mostra al Kunstverein il 26 gennaio 1924. Venne pubblicata nel 1945 con il titolo Über die moderne Kunst (Sull’arte moderna) da Verlag Bentelli, Berna, ed è stata pubblicata nella versione in lingua italiana con il titolo Visione e orientamento nell’ambito dei mezzi figurativi e loro assetto spaziale, contenuta nel saggio Confessione creatrice e altri scritti, tradotto da Francesco Saba Sardi e pubblicato per Abscondita, Milano, 2004.
  8. Ivi, pp. 34–35.
  9. Ivi, p. 49.
  10. Ivi, p. 50.
  11. Ivi, p. 51.
  12. L’articolo di Achille Perilli si trova in Civiltà delle Macchine, settembre–ottobre 1955, anno III, n. 5, Fondazione Ansaldo-Archimondi, con il titolo «Paul Klee», pp. 36–37.
  13. Ivi, pp. 36–37.
  14. Nel 2005, il famoso architetto italiano Renzo Piano lo ha progettato alla periferia della città federale.
  15. Il dipinto si trova presso il San Francisco Museum of Modern Art.
  16. Paul Klee, Diari 1898–1918, titolo originale Tagebücher von Paul Klee 1898–1918, M. Dumont Schauberg Verlag, Köln, 1957; traduzione italiana a cura di Alfredo Foelkel, prefazione di Giulio Carlo Argan, nota di Felix Klee, il Saggiatore, Milano, 2010, Prefazione pp. VIII–IX.
  17. Ivi, pp. XI–XII.
  18. Diario I, 6 marzo 1898, 58, p. 19.
  19. Diario I, 1900, 93, p. 35.
  20. Diario III, luglio 1902, 429, p. 128.
  21. Il saggio ha il titolo di «Vie allo studio della Natura» e si trova per l’appunto nella raccolta Confessione creatrice e altri scritti, tradotto da Francesco Saba Sardi e pubblicato per Abscondita, Milano, 2004.
  22. Ivi, p. 25.
  23. Ivi, p. 26.
  24. Ivi, p. 29.