Alessandro Di Chiara (a cura di): Francesco Soave. Filosofo e pedagogista delle arti. Pisa/Roma: Fabrizio Serra Editore 2022, pp. 194, con figure in b/n, Euro 48,-, ISBN: 978-88-8147-535-3 (= Studia Erudita 22) (Indice del volume)
Dieci relazioni e tre studi compongono il volume Francesco Soave. Filosofo e pedagogista delle arti, pubblicato lo scorso 2022 per le cure di Alessandro Di Chiara. Alle spalle, la giornata di simposio organizzata il 15 aprile dello stesso anno presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, in seno al Dipartimento di Comunicazione e Didattica dell’Arte – ne tracciano gli assi, ricapitolano dialettica ed esiti, le pagine introduttive di Giovanni Iovine, Direttore dell’Accademia, e Raffaella Pulejo. Filosofo e divulgatore delle dottrine sensiste, traduttore, educatore (si ricordi anche che per breve tempo fu maestro di Manzoni nel Collegio di Sant’Antonio a Lugano), è indubbio che nella figura del padre somasco convergano molte delle direttrici maggiori che innervano il lungo Settecento, italiano ed europeo: una pluralità di prospettive, tese ad abbracciare nel suo insieme il sistema delle arti e le architetture del pensiero, nonché il loro riflesso operante sulla realtà concreta del tessuto sociale, civile, politico, e che senza dubbio contribuiscono a ispessire la nostra conoscenza di Soave e, con essa, il significato della vita intellettuale del XVIII secolo.
Inaugura la prima sezione il contributo del curatore, Alessandro Di Chiara: approfonditamente documentato, Francesco Soave e L’immagine d’un male, che si crede presente e non è (pp. 11–29) offre al lettore un ritratto ragionato del somasco, mettendone in luce la levatura di pensiero, al crocevia più maturo del sensismo europeo e secondo una voluta interconnessione fra codici comunicativi, facoltà e vocazione alla più alta παιδεία (paideia). Del resto, è un’educazione che si richiede alle arti (a quelle della parola tanto quanto a quelle plastico-figurative), una «energia propositiva» (p. 21) che sia sottratta con cura al richiamo invadente dei più disordinati itinerari dell’immaginazione, che potrebbe attrarre mente e coscienza in paralogismi logico-figurativi, nonché morali, costruendo in astratto dimensioni falso-ontologiche e spazi etici vieppiù distanti dalle ‹sensate esperienze›: «L’immaginazione è ancipite, ciò che è illusione per i comuni abitatori del tempo diventa strumento fondamentale che esprime l’unicità dell’esperienza artistica» (ibidem). Inevitabile, quindi, il dialogo intermediale, fondamento dell’Accademia stessa, come risalta ad esempio nei contributi di Laura Lombardi («Variare la costruzione acconciamente». Francesco Soave e gli artisti del suo tempo, pp. 91–106, dedicato alla figura di Canova) e Chiara Nenci (Un’inedita traduzione di Giuseppe Bossi delle Ruins of the Palace of Diocletian di Robert Adam «per uso della pubblica scuola di architettura», pp. 31–44).
Alla progettualità educativa e alla pedagogia applicata di Soave sono poi dedicati i testi di Rosanna Ruscio (Proposte educative: il pensiero del filosofo e l’esperienza dell’artista, pp. 59–77), Simone Turco (Fra «temibili esempi» e «virtuosi costumi». Le Novelle morali di Francesco Soave, pp. 107–119) e Paolo Baetesaghi (Francesco Soave maestro del dialogo, pp. 121–133). In queste pagine, risaltano certamente una chiaroveggente attenzione alla figura dell’insegnante, quindi l’esistenza di un’articolata progettualità linguistico-educativa, affidata a un (sempre attuale, più volte e in più modi riportato all’attenzione degli insegnanti che si muovono nelle varie formule della pedagogia contemporanea) «metodo che alla teoria affiancasse anche l’esercitazione pratica, al fine di evitare lo studio mnemonico e nozionistico in voga nel Settecento» (Ruscio, p. 70). Testi scolastici e grammatiche si ispirano alle più note scuole moderne, trovando forza e nuova linfa nell’applicazione di un particolare taglio comparativo-contrastivo, teso a problematizzare il tanto affermato concetto del génie de la langue: passando dalla Gramatica ragionata alla Gramatica di italiano e latino (1771 e 1774), fino all’Abecedario del 1786, il Soave filosofo incontra felicemente il pedagogo, smussando ogni apparente frizione che potrebbe crearsi fra trattazioni sistematiche (intente a discutere l’esistenza di «schemi mentali universali, di strutture ‘generali’ ed omogenee»; così Bartesaghi a p. 130) e percorsi educativi che proprio sulla riflessione fasico-epistemologica fondano le loro meccaniche. Non secondario, infine, il criterio di compilazione dell’Abecedario stesso, concepito come raccolta anche di massime, proverbi e favolette morali, che in piena coerenza con il rinnovato precetto oraziano del miscere utile dulci portano gli studenti: un modello per la letteratura per l’infanzia e un antecedente (sui generis) dell’opera di Duilio Cambellotti per le scuole dell’Agro Romano, secondo Ruscio; una contestazione del modello esopico, spiega Turco, teso invece a salvaguardare la mente del discente dalla suggestione del fantastico e dell’irrazionale, ora che nella nuova educazione, sottratta ai Gesuiti, «si fa presto viva l’istanza dell’utile, accanto alla ricerca del bello» (Bartesaghi a p. 128).
Particolare attenzione merita, senza dubbio, l’altro itinerario che torna, secondo tagli scientifici talora differenti, nell’intero volume: la questione delle traduzioni. Due i casi-guida, per il Soave filosofo: Blair e Locke. Il contributo di Francesca Tancini (Sulla ricezione ottocentesca delle teorie retorico-estetiche di Soave-Blair, pp. 45–57) mette a fuoco la complessità ramificata, verrebbe da dire, secondo libere estensioni e corrispondenze, del «patrimonio concettuale» (p. 45) che lavora alacre nella mente del Soave traduttore dello scozzese Hugh Blair, autore delle Lectures on Rhetoric and Belles Lettres. Sensibile «nei confronti degli aspetti emozionali del linguaggio» e a una «duttile nozione di “primitivismo”» che ingloba nella stessa categoria il selvaggio e il primitivo classico, idealizzato o filtrato dalla lente culturale (p. 48), Soave divulga o, meglio, italianizza Blair, facendone un caso-pretesto per intervenire sul dibattito estetico italiano (almeno, moderno, a quanto risulta dai «giudizi circoscritti» dell’Ottocento, p. 57). Già qui, esattamente come accade nello studio di Giuliana Di Biase (Francesco Soave interprete di Locke, pp. 79–90), gli spazi paratestuali scontornano il profilo di Soave, gli danno modo di meglio emergere dalle pagine, sottraendo appendici e note a una funzione illustrativa e divulgativa e condensandola in una invece dialettica, applicativa (in Di Biase, per degli esempi esaustivi, vd. soprattutto le pp. 84–88).
Nella seconda parte del libro, i tre studi di Carena, Carletti e Sani enucleano altrettanti temi-guida utili a tratteggiare il profilo di Soave: ancora la traduzione, il dibattito politico posto di fronte alla prova suprema della Rivoluzione Francese, il rapporto con il concetto di classico (esemplato nel patrimonio eidetico-figurale della mitologia). Carlo Carena, con Francesco Soave e la Batracomiomachia (pp. 137–152), propone una lettura comparata del poemetto pseudo-omerico giustapponendo gli sciolti di Soave alle soluzioni di A. M. Salvini (anch’egli traduttore in sciolti), A. M. Ricci (sestine di ottonari), Francesco Fontana (sciolti), Antonio Lavagnoli (terzine) e Alessandro Garioni (versione dialettale, milanese, in ottave). C’è spazio poi per il Soave critico della Rivoluzione Francese nel saggio di Gabriele Carletti, Un mondo “a rovescio”: aspetti del pensiero politico di Francesco Soave (pp. 153–163), in cui, a partire dalle Ricerche intorno all’istituzione naturale d’una società, e d’una lingua del 1770 e fino alla Vera idea della Rivoluzione di Francia (1793), emergono i toni crudi e accesi del Soave più critico, ostile agli eccessi della ragione, che ha distorto in invidia e desiderio di vendetta i sentimenti di alcuni strati della popolazione, contrastando con ben altra visione politica (una in cui peso economico – ossia economico-patrimoniale – e peso politico si equivalgono, in cui la guida illuminata del sovrano governa legittimamente sui cittadini). A chiudere, Francesco Soave e lo studio della mitologia classica (pp. 165–174) di Filippo Sani riapre un’interessante pagina del dibattito estetico, filosofico e storiografico del Settecento, perché – si facciano i nomi di Rollin e di Banier, di Vico e degli enciclopedisti (e, aggiungeremmo, anche di Gravina e Algarotti) – la mitologia è un banco di prova quasi d’obbligo nella ridiscussione dell’identità storica e poetica, nonché plastico-figurale della modernità, di cui Francesco Soave è evidentemente significativo interprete, capace di muoversi con occhio critico tra le fonti, prevalentemente di ascendenza vichiana (mutuate da Jacopo Stellini) e la tradizione ora cinquecentesca ora d’Oltralpe.